Qualche settimana fa a Bologna una folla di giovani ha atteso per ore di vedere per un attimo Chiara Ferragni. La notizia colpisce per il fatto che la signora in questione non è un’icona della musica, un’attrice di successo o un’artista. La sua professione è influencer, ossia una persona che – se le parole hanno un senso – tende a determinare il comportamento, le idee, i consumi altrui attraverso dichiarazioni o stile di vita. Un’attività assai prossima all’imbroglio, giacché le azioni degli influencer sono generalmente dettate dal sistema del consumo, in particolare dei beni “posizionali”, quelli cioè che servono a segnalare uno status sociale, una condizione di prestigio, spesso solo un’aspirazione e un’imitazione gregaria. È grande lo stupore per la scelta dei giovani bolognesi – e dei numerosissimi studenti del suo ateneo – tanto più per la forte tradizione “progressista” della città.
La mutazione genetica, culturale, valoriale, dei giovani – italiani e occidentali – è compiuta: sono stati avviati, guidati, persuasi al più compiuto nichilismo. Non si spiega altrimenti la calca e l’attesa per la Ferragni, vista come un modello sociale di successo, nonostante non abbia alcuna particolare abilità artistica o culturale. La triste vittoria del nichilismo gaio di massa è confermata da uno studio spagnolo sulla salute mentale dei connazionali. Quaranta spagnoli su cento ritengono di non godere di buona salute mentale. I giovani sono la fascia di età che valuta più negativamente il proprio stato psicologico: solo uno su tre se ne dichiara soddisfatto. Gli attacchi di panico, l’ansia, gli stati depressivi, in una parola una vita non felice, sembra la normalità per i giovani iberici. L’uso di psicofarmaci riguarda almeno un giovane su due e le benzodiazepine hanno in Spagna più consumatori che nel resto del mondo. Tutto ciò in un paese famoso per la sua allegria, il buon clima e la gioia di vivere. Per di più, si tratta di una nazione che ha le leggi più permissive al mondo in materia di costumi e di nuovi “diritti”.
Evidentemente questo tipo di società fa male: ansiogena, individualista, agonistica, indifferente all’altro, vuota di ancoraggi e credenze. È ormai una malattia in sé e il suo esito è un nichilismo pratico che spaventa. Nessun principio o valore sembra degno di essere professato; si è condotti, per sopportare l’esistenza e cercare squarci di effimera felicità, alla dipendenza da sostanze psicotrope, stupefacenti, alcool, droga, gioco, sesso compulsivo. Paradisi artificiali per sfuggire a inferni reali, rintracciare scopi. Si moltiplicano gli atti di autolesionismo, le condotte antisociali, l’incomunicabilità mascherata dalla bulimia della comunicazione spuria, artificiale, delle reti sociali.
Certo, non possiamo definire tutto ciò malattia mentale, ma dimostra una fragilità di fondo, una paura di affrontare la vita, le sue prove, il dolore, che rende insicure, vulnerabile, leggere come fiocchi di neve gran parte delle ultime generazioni. Nulla di strano se si rifugiano nelle dipendenze, tra le quali ha un posto di rilievo quella da reti sociali, l’iperconnessione compulsiva, la sindrome del “mi piace”, “non mi piace”, perfino il devastante timore di perdersi qualcosa, di non essere abbastanza alla moda, di non fare certe esperienze, in sostanza non essere abbastanza conformisti, laddove il conformismo postmoderno è un’estenuante gara di trasgressioni eterodirette ai modi di vivere, essere e pensare di ieri.
Gli interessi economici e politici lavorano a produrre generazioni isolate, impaurite, consumiste e obbedienti. Nessuno osa mettere sotto accusa il sistema scolastico ed educativo, da cui sono sparite le domande di senso della vita non meno che l’accettazione di quel tanto di disciplina interiore e esteriore che prepara alla vita sociale, e lo studio delle materie che promuovono il ragionamento, il pensiero critico, il giudizio autonomo. In un baccano forzato – allegria di naufraghi – si corre verso lo sballo successivo, l’esperienza ancora più estrema, l’ammirazione mimetica dei modelli imposti dall’alto. Ogni volta occorre alzare l’asticella delle sensazioni, delle esperienze per evitare il tedio, l’indifferenza, lo sbadiglio. Lo stadio attuale – ne seguiranno altri, ancora più bassi – è invadere la città per intravvedere un attimo un modello decadente e senza qualità, l’influencer di turno. Un frammento di mediocre realtà, un intermezzo nella virtualità iperconnessa. Studi e analisi valutano gli effetti, i sintomi, ma non affondano il giudizio sulle cause. Ovvio: dovrebbero revocare in dubbio tutto un sistema, l’intera compagine sociale, il complessivo sistema del “progresso”. Che tale non è se genera disagio mentale, confusione, infelicità, dipendenza da farmaci, e produce un tipo umano nichilista, privo di principi forti, convinto che per nessuna causa valga la pena battersi, se non – per un fugace attimo – per le menzogne ansiogene diffuse dal piano alto di un potere di cui non sospettano neppure l’esistenza. Le masse giovanili si sono dimostrate remissive dinanzi alle imposizioni e alla compressione di libertà quotidiane del terribile triennio epidemico. Hanno cioè introiettato l’adattamento privo di giudizio che Etienne De La Boétie chiamò servitù volontaria.
In America, centro del decadente impero d’Occidente, la condizione giovanile è entrata a vele spiegate nel nichilismo più cupo, favorito dagli innumerevoli ghetti etnici, dalla povertà, dalla desertificazione sociale e familiare, dalla violenza diffusa e dalla frustrazione determinata dall’enormità delle aspettative rispetto alla realtà. Qualcuno fa del male gratuito, nichilismo allo stato puro; un giornalista statunitense ha citato un fatto accaduto a lui a Washington: due ragazzini in moto gli hanno strappato il cellulare dalle mani non per rapina, ma per distruggerlo ridendo; un gesto senza senso, compiutamente nichilista.
Quali valori sono stati offerti a quei ragazzi, quali modelli, quali alternative al nulla esistenziale riempito di consumismo banale? Nelle città americane è prassi l’attacco vandalico a negozi e supermercati alimentari, effettuato non da affamati, ma da giovanissimi sociopatici apparentemente normali. L’assurdo è la difesa ad oltranza, con motivazioni “sociali”, da parte della stessa cultura del nulla che li ha resi selvaggi senza idee e senza domani: una generazione intera priva di qualunque disciplina formale, cresciuta senza famiglia nel deserto culturale e valoriale. Vivono nel disordine e sentono il bisogno di creare disordine nella vite degli altri.
L’idea che la società intera sia colpevole della condotta di chi aggredisce, distrugge, dà fuoco ai beni altrui o schiaccia un telefono senza ragione è il sintomo di una malattia con prognosi infausta, il nichilismo. Ci vuole più cultura, dicono, ma impazza il suo contrario, la cancellazione chiamata progresso, risveglio, riscatto. Un seguitissimo influencer nero (oops, afroamericano) scrive che l’istruzione è una farsa per gente stupida. “Tutti quei filosofi si sbagliavano. Credevano che il sole girasse intorno alla terra. Pensavano che la luna fosse una stella. Non sapevano niente. L’istruzione classica insegna agli studenti a imparare cose da bianchi. “
A Chicago bande giovanili tengono in scacco interi quartieri con l’unico scopo di impaurire e distruggere. L’ignoranza fa passi da gigante in ogni ambiente sociale e in America è normale considerare razzista la matematica che impone regole fisse per ottenere i risultati “giusti”. Non se la passa meglio la grammatica, che, su pressione dei movimenti radicali woke, viene ora insegnata in maniera “critica”, ossia senza regole sintattiche e lessicali, frutto, secondo la follia emergente, di imposizioni razziste, maschiliste ed eteropatriarcali. Ognuno parlerà come vuole, una Babilonia sino alla reciproca incomunicabilità finale, la liberazione animale dai vincoli della parola. Pura regressione.
La generazione degli “zoomers”, nata dopo il 1996, ha trascorso gli ultimi anni in gran parte chiusa in casa a causa della pandemia. Chi studia ha seguito le lezioni a distanza, “zoomando” in rete. Escono sempre meno, tendono a lasciare lo studio e a non applicarsi al lavoro, sono indifferenti a ogni tradizione spirituale e trascorrono gran parte del tempo online, tra Instagram, chat, Youtube e Pornhub. Sono predisposti per diventare schiavi digitali, un gregge la cui pastura sarà il reddito universale digitale, la connessione perpetua e la promiscuità sessuale, vissuta come moda. A ondate, simili a sciami di cavallette, si agitano quando un gruppo di presunte vittime manifesta un problema di “inclusione”; non appena il rumore si placa, passano alla news successiva in totale indifferenza.
Ci sono sinistre analogie con la generazione debosciata degli “anni ruggenti” (roaring years) descritta dallo scrittore Francis Scott Fitzgerald quasi un secolo fa. Sfibrati sin da giovani, hanno orrore del passato, conosciuto solo attraverso la demonizzazione imposta, alla quale credono con fervore quasi religioso in assenza di contraddittorio. Vedono un futuro tempestoso anche nei momenti più felici, aspettandosi il peggio, terrorizzati dalle catastrofi climatiche annunciate dai burattinai. È un’orda di zombi che marcia senza pensare. Sono come il potere li ha voluti: non hanno altra colpa che aver disattivato il cervello. Anche per questo hanno ampie giustificazioni: l’ignoranza saccente che li avvolge è voluta, perseguita, programmata dalle generazioni adulte.
La mutazione nichilista si conclude con l’impressionante auge della confusione sessuale, implementata dall’oligarchia al potere: in America un giovane su cinque della generazione Z si dichiara sessualmente fluido, un dato quasi doppio rispetto a quello, già allarmante, dei Millennials (nati tra il 1981 e il 1996), che già moltiplica per tre i dati precedenti. Secondo Elon Musk, l’unico tecno oligarca ostile all’incultura woke, quello LGBT è ormai “il club dei ragazzi fighi”, una forma di neo conformismo distruttivo. Impressionano i dati sull’uso di sostanze stupefacenti, quasi doppio tra i “non binari” rispetto alla media, la promiscuità sessuale e un’incidenza cinque volte più elevata di malattie sessualmente trasmissibili. Non vi è dubbio che l’infezione americana – è davvero il caso di chiamarla così – stia raggiungendo la periferia dell’impero.
Questa è la società del nichilismo compiuto, le cui responsabilità – enormi, criminali – ricadono sulle generazioni adulte. Per chi è bambino negli anni Venti del terzo millennio (presto cambieranno anche la datazione: chi era, dopotutto, quel Cristo che fa da spartiacque abusivo della storia?) c’è l’indottrinamento scolastico gender fin da piccoli, la pornografia infantile proposta dalla figlia dei Clinton (la mela non cade lontano dall’albero) la precoce sessualizzazione e, su tutto, il fastidio per ogni storia, idea, discorso non corrispondente al canone inverso predisposto, che genera intolleranza, incapacità di partecipare a un dibattito a più voci, in definitiva rancore contro la libertà.
Ci capita spesso di pensare con sgomento a come sarà il mondo quando le generazioni formate nel terzo millennio saranno anziane. Sbagliamo: il mondo preparato per loro dalle oligarchie di questo tempo bastardo sarà già sepolto, travolto dalle menzogne e dal tragico nichilismo che pratica senza neppure riconoscerlo. Popoli vivi che credono ancora ai loro occhi, indifferenti alle ubbie “risvegliate” lo avranno travolto e sostituito. Una fine ingloriosa, ma giusta: chi non vuole vivere non merita futuro.
Resta a chi scrive, insieme con una profonda amarezza e l’estraneità dell’esule, un intenso senso di colpa. Non abbiamo fatto abbastanza, non abbiamo lottato, non siamo insorti moralmente per impedire il degrado che abbiamo attorno a noi e che – ammettiamolo – non ci risparmia. La generazione nichilista è figlia nostra. Abbiamo colpe terribili. Possiamo solo tenerci in piedi tra le rovine: per noi, per i giovani che resistono al contagio e per chi, un giorno, rovescerà la tendenza. Oggi è probabilmente perduto: ultimo dovere è la testimonianza per la rinascita di domani o dopodomani.