Da alcuni anni è emerso uno di quei fenomeni socio-psicologici che sarebbe stato impensabile fino al secolo scorso incluso, ma che rappresenta una delle curiose novità culturali del mondo contemporaneo: gli “incel“.
Con questo termine si indicano quelle persone, generalmente giovani – ma non solo – e segnatamente di sesso maschile, che sono “celibi involontari” da cui il nome, “INvoluntary CELibate”. Il sintomo è balzato agli onori delle cronache per la sua consistenza in termini numerici. Parliamoci chiaro: gli “scapoloni” esistevano anche nel passato, ma si trattava di pochi casi e non costituivano certo un segmento sociale né un tema di preoccupazione mediatica.
Ma ora pare che lo stia diventando perché questi ragazzi, cresciuti enormemente in numero, hanno cominciato ad organizzarsi nella più ovvia delle maniere che consente la tecnologia del XXI secolo: creando gruppi in rete. Sulla fenomenologia ci sarebbe molto da raccontare: alcuni gruppi hanno elaborato la “Teoria LMS” per cui un uomo sarebbe attrattivo nei confronti delle donne sulla base della bellezza, del denaro e della posizione sociale, la “Teoria Redpill” è una evoluzione della prima per cui le donne e gli uomini sarebbero biologicamente diversi e quindi avrebbero differente selettività nello scegliersi il compagno/a, la “Teoria Blackpill” e un’estensione della seconda per cui è così e non ci si può fare una mazza; più tante altre sfaccettature e sottomovimenti che in questo articolo non vengono dettagliati per brevità.
Questa sorta di “movimento” ha avuto, da parte dei media del sistema, un’accoglienza ostile e accusatoria; gli incel vengono tacciati di sessismo, di misoginia e i media affermano che si tratti di organizzazioni ai limiti dell’illecito e del terrorismo, perché alcuni di questi ragazzi hanno poi finito per sfogare le proprie frustrazioni compiendo veri e propri massacri a casaccio, come nel caso dei recenti attentati di Plymouth in Inghilterra del 12/8/2021 o di Allen nel Texas del 6/5/2023.
Al profano che per la prima volta si approccia a questa realtà saltano all’occhio innanzitutto due caratteristiche, che poi hanno la medesima radice. La prima è l’inutile e fastidioso ricorso ad anglismi (“LMS”, “Redpill”, “Blackpill”, ecc. perché evidentemente “scapolo” e altre ispirazioni dal vocabolario di Boccaccio e Petrarca fanno schifo, ma sull’Italiano considerato come lingua di serie B si rimanda a considerazioni in futuri articoli).
La seconda è quella di dover assegnare un nome, un’etichetta a qualsiasi categoria – o supposta tale – di persone, anch’essa pessima abitudine di origine anglosassone: sarebbe come dare un nome a quelli che mordono il cono del gelato dal fondo e un altro a chi lo morde dall’orlo, o a quelli che usano fazzoletti di tela al posto di quelli di carta, o a quelli che sollevano l’asse del gabinetto prima di orinare rispetto a quelli che lo tengono abbassato. L’assegnazione di nomi a gruppi di persone può sembrare un’abitudine innocente, ma non lo è affatto; etichettare le persone ha la conseguenza psicologica di imprimere una specie di marchio a fuoco sulla fronte degli individui i quali si sentiranno condannati ad un preciso destino a causa di una particolare classificazione che percepiranno come propria.
L’uso del verbo “essere” suggella la categorizzazione: come dire, io sono incel quindi sono condannato al particolare destino di appartenere ad una setta e ad avere un certo comportamento; se, al contrario, il ragazzo pensasse di essere semplicemente un giovane con qualche difficoltà in più rispetto ad altri sul terreno sentimentale, ecco che capirebbe di non trovarsi legato a nessun destino prefigurato da una categoria, recupererebbe una parte della necessaria fiducia in sé stesso e avrebbe molte possibilità in più di conquistare la fatidica fidanzata.
Alcune riflessioni che circolano tra questi gruppi hanno un fondamento e anzi sanno un po’ di scontato: le donne sarebbero molto selettive (si sapeva già ai tempi dei miei bisnonni), tendono ad aspettarsi sicurezza economica (ci mancherebbe altro), guardano l’aspetto fisico (perché gli uomini no?). La riflessione immediata di queste organizzazioni “incel” è che il fenomeno sia esploso per via dell’emancipazione femminile, che avrebbe reso le donne egoiste ed inclini a vivere da sé, lasciando nella solitudine masse di loro coetanei maschi. E’ di una facilità sconcertante confutare una tesi così stupida: l’emancipazione femminile, nel secolo scorso, ha avuto ampio spazio nelle società a socialismo reale, dove sposarsi e fare figli – magari dopo aver guidato un carro armato in guerra – era l’assoluta normalità per una donna sovietica, come per una donna nordcoreana, come per una donna vietnamita.
Quindi piantiamola di dare la colpa all’emancipazione.
La verità è un’altra, ed è ora che gli “incel” ne prendano atto. La solitudine sentimentale è un fenomeno tipico delle società liberiste avanzate. Il sistema economico capitalistico-liberista spinge volutamente, scientemente e meticolosamente i cittadini ad essere solitari ed egoisti, perché i burattinai di tale sistema – ossia i grandi oligarchi – sono ben consapevoli che le masse organizzate sono l’unico nemico di cui possono avere paura (la storia del ‘900 è stata chiarissima su questo punto) e fanno di tutto per disabituare il popolo anche alle più basilari forme di unione. Lo smantellamento di ogni forma di aggregazione, inclusi le normali relazioni sentimentali e le unità familiari, è portato avanti con scientifica perizia tramite tutti i media possibili: dai film ai romanzi, dalle notizie di cronaca nera alle riviste di moda, agli influencer in rete. Le conseguenze sul comportamento dei giovani si vede e, per quanto sia deprimente, non sorprende affatto.
Certo che raccontare a un ventenne di oggi che non si libererà della sua solitudine sentimentale se prima non si libera di un sistema socio-economico non è facile, specie per una generazione abituata a sentirsi raccontare solo un certo tipo di versione della società e a considerare “utopistica” ogni altra, anche quella in cui vivrebbe molto più sereno. Ma così è: gli incel se ne facciano una ragione.
E magari, già che ci sono, si ripassino l’art. 29 della Costituzione Italiana che prevede (sorpresa!) che la Repubblica riconosce i diritti della famiglia. L’attuazione di tale principio porterebbe ad uscire dalla frustrazione un sacco di ragazzi. Ma, come tutti i diritti sociali, non si fa da solo: occorre organizzarsi e combattere per ottenerlo.
E non in rete.