In ospedali ed RSA d’Italia la presunta emergenza sanitaria non è mai terminata: divieti e restrizioni che abbiamo conosciuto durante la fase acuta di pandemia, si sono cronicizzate nella nuova normalità. A Torino all’ospedale San Giovanni Bosco, il comitato Fortitudo è riuscito a disinnescare l’ennesimo ricatto, vittima il sig. Francesco a cui hanno risposto: “Se non fai il tampone non ti operi”; qualche mese fa, avevamo documentato il caso della signora Cristina, impossibilitata ad accedere alle cure, se non previo tampone, alla clinica Zucchi di Monza. A Milano bastano alcuni casi di positività per far chiudere reparti e intere RSA alle visite dei parenti.
Mala tempora currunt anche per quelle organizzazioni che rappresentano le professioni sanitarie che provano a difendere i diritti dei loro assistiti, facendo prevalere il buon senso e il ragionamento critico sulle disumane misure restrittive (mascherine, tamponi, limiti alle visite dei parenti) destituite ormai di ogni fondamento scientifico e giuridico. I sanitari che hanno resistito all’obbligo vaccinale, oggi, nuovamente abilitati all’esercizio delle loro funzioni, provano a ripristinare la normalità pre-pandemica circa la necessità di riumanizzare le cure, ma di fronte hanno un sistema che sta ricominciando ad affilare i manganelli nei confronti di chiunque, utenti e operatori, non si allinei ai loro diktat.
Emblematico il caso dell’infermiere Raffaele Varvara, che dopo soli 4 mesi dalla sua riassunzione all’ospedale di Lecco, è stato colpito da 3 procedimenti disciplinari poichè reo di aver fatto accedere i parenti di una sua paziente, nonchè per lo scorretto utilizzo della mascherina ffp2.
Il primario del reparto di nefrologia dell’ASST Lecco, vedendo Varvara senza mascherina mentre lavorava, aveva addirittura chiamato la polizia. Il 15 settembre, mentre si celebrava l’ udienza disciplinare, i cittadini partecipanti all’operazione “Riapriamo le porte” sono scesi in piazza a Genova, Torino, Vicenza e Lecco a sostegno del curante, sanzionato con 13 giorni di sospensione; rimane pendente un terzo procedimento disciplinare che potrà esitare nel licenziamento. Sul caso è intervenuto il consigliere regionale Zamperini (FdI) che ha richiesto le dimissioni del direttore generale Favini,mentre si è già dimessa la firmataria dei 3 procedimenti disciplinari, la dirigente delle professioni sanitarie, Katia Rusconi.
Abbiamo raggiunto Raffaele Varvara per porgli qualche domanda sull’accaduto.
- REDAZIONE CDC – Raffaele, sembra di aver messo indietro l’orologio di due anni, quando avevi subìto un licenziamento illegittimo e una serie di procedimenti disciplinari per aver svolto azioni nel rispetto dei diritti dei pazienti: come ti senti?
“Proprio così, sono rientrato in corsia dopo due anni ma devo constatare che la situazione è peggiorata, tuttavia mi sento bene perchè ho fatto prevalere l’umanità e l’empatia, valori che hanno da sempre contraddistinto le professioni di cura ma che adesso si sono persi in nome dello scientismo; non potevo dire di no a una richiesta di buon senso come quella di un marito e un figlio che volevano prodigarsi per assistere la mia paziente per pranzo, quando gli orari di visita concessi dall’ “azienda” subiscono ancora le restrizioni pandemiche. Per loro sono colpevole di non aver rispettato i regolamenti, io mi sento felicemente “colpevole” per aver difeso il diritto di un paziente di ricevere il calore e il sostegno dei propri cari”.
- REDAZIONE CDC – Sei rientrato in servizio dopo la sospensione dei 13 giorni?
“Rientrerò il 17 ottobre (ieri, ndr): discuterò il terzo procedimento disciplinare con il quale vorrebbero portarmi al licenziamento, ma con le dimissioni pendenti di tutto il vertice strategico dell’ospedale, adesso la situazione è ribaltata, vedremo.. nel frattempo mi hanno demansionato. Non tornerò in corsia a curare i miei pazienti, mi hanno messo a pulire i ferri chirurgici in centrale di sterilizzazione; forse la mia umanità è pericolosa?”.
- REDAZIONE CDC – Com’ è il clima lavorativo?
“Un po’ controverso: loro sanno tutto, sanno degli effetti avversi da genico sperimentale, sanno che mascherine e tamponi servono a nulla, ma schierarsi dalla parte della verità vuol dire mettere in preventivo qualche rischio. Il corpo professionale medico e infermieristico soffre di una sindrome post-traumatica da stress di categoria. Comprendo i loro stati d’animo, in fase di elaborazione delle esperienze professionali di questi due anni: ho sempre cercato di tendere loro una mano, trovando un compromesso con le nostre istanze di buon senso, ma dall’altra parte riscontro una refrattarietà inscalfibile. Tuttavia c’è una profonda ammirazione verso le mie scelte di libertà e, sottovoce, mi spingono ad andare avanti”.
- REDAZIONE CDC – Ma la polizia in reparto?
“E’ stato un maldestro tentativo di intimidazione nei miei confronti poichè ritengo di indossare la mascherina quando la clinica lo richiede (es. paziente pancitopenico), ma non nei corridoi del reparto. Secondo il primario, invece, avrei dovuta indossarla per ottemperare all’obbligo e – davanti al mio rifiuto – non sapendo come gestire la situazione, aveva pensato di chiamare la polizia, nell’evidente imbarazzo degli agenti che avevano constatato l’ inutilità del loro intervento nella fattispecie del mio caso”.
- REDAZIONE CDC – Come ti difenderai?
“Essendo una questione prettamente politica, la mia difesa sono i coautori che ogni settimana organizzano presidi sotto ospedali ed RSA d’Italia e che ringrazio sentitamente. Il 15 settembre, abbiamo trasformato l’audizione disciplinare in una mobilitazione nazionale per l’umanizzazione delle cure. All’ospedale di Lecco eravamo una settantina ed abbiamo approfittato a sollevare anche tutti i problemi interni al Manzoni (il principale nosocomio della provincia, ndr) che non riesce a garantire la risposta ai bisogni di salute della comunità lecchese, a causa delle dimissioni di massa di medici e infermieri. Il caso (o meglio il caos) dell’ASST Lecco è arrivato fino in parlamento“.
Assieme a Varvara, troviamo Sabrina Pegoraro, OSS all’ospedale di Vercelli, colpita da ben 4 procedimenti disciplinari perchè nella sua pratica assistenziale, il buon senso e l’umanizzazione delle cure vengono prima delle misure di massima precauzione come la mascherina ffp2. Come nel caso di Varvara, anche lei ha subìto il tentativo di intimidazione da parte della polizia mentre era in servizio, perchè non indossava correttamente il DPI.
- REDAZIONE CDC – Sabrina, dopo tanti anni di onorato servizio, come stai vivendo questo momento, come ti senti?
“Questo passaggio è impegnativo e richiede un costante lavoro sui propri obiettivi. Ma la situazione lo richiede e non avremo molte altre occasioni per far valere le nostre ragioni. Questo problema coinvolge molti professionisti che come me hanno fatto una scelta di coerenza ma io, in più, ho il Prof. Avv. Piero Codegoni che veglia su di me. Non mi fraintendete, non è il mio avvocato difensore e, anche se passato a miglior vita da molti anni, non è neanche un giurista del mondo soprannaturale. Ma se sei di Vercelli e negli anni 80 hai fatto ragioneria all’I.T.C. Cavour hai seguito le sue lezioni di diritto e nessuno può dimenticare la prima mezz’ora di terza: la gerarchia delle fonti.
Sono convinta che se tutti avessero seguito quell’unica ora di lezione difficilmente sarebbero caduti nell’inganno che, da quasi quattro anni, si ripete nelle forme più perverse; e pensate che nella sua ultima ora prima di andare in pensione mi aveva sbattuta fuori perché facevo casino: era molto severo ma ci ha insegnato che i diritti non sono acquisiti per sempre, vanno difesi costantemente”.
- REDAZIONE CDC – Sei rientrata in servizio?
“Rientro in questi giorni dopo due settimane di ferie e il clima mi sembra lo stesso che ho lasciato il giorno in cui tutta la direzione (e un poliziotto) mi hanno raggiunta mentre stavo lavorando in reparto.
Devo costantemente tenere d’occhio le mie percezioni, qui ognuno ha tanto da fare e il “problema” non sono io. E poi i pazienti meritano massimo rispetto: se c’è un immunodepresso la mia coscienza mi impone di usare ogni metodo per cercare di proteggerlo, quindi soprassiedo sul fatto che l’obbligo di indossare la mascherina non sia stato disposto per iscritto seguendo la procedura corretta. Negli altri casi, lavoro seguendo la mia normale attitudine: professionalità, gentilezza e, dove si può sorrisi e, addirittura, risate. Credetemi, ne abbiamo tanto bisogno tutti”.
- REDAZIONE CDC – E coi tuoi superiori come riesci a relazionarti?
“Nello stesso modo: professionalità gentilezza e sorrisi. Magari evito le risate, sono piuttosto suscettibili”.
- REDAZIONE CDC – Qual è la tua strategia difensiva?
“Mi sto muovendo su due livelli ugualmente fondamentali: ho dovuto necessariamente allertare il mio referente sindacale, affinché ogni passaggio di questa procedura sia fatto nella maniera più corretta. Dobbiamo segnalare tutte le “incongruenze”che abbiamo rilevato in ogni provvedimento. E poi c’è la parte politica, quella che coinvolge ogni persona che mi sta vicino: la mia famiglia, i miei amici e tutte le persone che sto incontrando in questo cammino.
Recentemente ho incontrato Raffaele Varvara, un collega infermiere che sta portando avanti nella sua vita lavorativa gli stessi ideali in cui credo. Profonda convinzione di stare “dalla parte giusta” e una tenacia da monaco guerriero gli permettono di riunire ogni settimana in più sedi d’Italia gruppi di persone che promuovono le sue iniziative di sensibilizzazione popolare verso le storture di questo sistema malato. In questa situazione, siamo un “farmaco” sperimentale omeopatico: potrebbe funzionare, di certo non peggioreremo la situazione.
Un tentativo va fatto prima che sia troppo tardi. D’altra parte come scrive Ernst Jünger nel “Trattato del ribelle“: “Le dittature non sono soltanto pericolose, sono esse stesse sempre in pericolo poiché l’uso brutale della forza suscita ovunque ostilità. Stando così le cose, la presenza di esigue minoranze pronte a tutto costituisce una minaccia, in particolare quando esse hanno messo a punto una loro tattica.” Lavorare sulla tattica è la nostra speranza perché la possibilità che queste vicende costituiscano i prodromi di una dittatura si sta facendo sempre più concreta”.
Ad essere colpevoli di troppa umanità non soltanto infermieri e Oss, ma anche medici. Quindi, dopo Raffaele Varvara, Sabrina Pegoraro, la dott.ssa Maria Giovanna Corda; medico di Pronto Soccorso in un ospedale sardo, è stata sanzionata con 40 giorni di sospensione, perchè nella sua pratica clinica è solita utilizzare il discrimine sintomatologico per l’esecuzione del tampone, come dispone l’ultima circolare del ministero della salute.
Nonostante la disposizione del ministero di eseguire i tamponi solo per i sintomatici in accesso al PS, nonchè l’acclarata fallacia scientifica e l’insussistenza clinico-assistenziale del tampone eseguito a tappeto su tutto il flusso di pazienti in ingresso in una struttura sanitaria, senza discrimine diagnostico, nella maggior parte degli ospedali d’Italia si continua ad applicare sempre più in pejus le normative di rango superiore, giustificate dal principio della massima precauzione. Questa reiterata tendenza, è resa possibile dal potere discrezionale dei direttori sanitari che possono disporre a loro piacimento sull’esigibilità del diritto alla salute. Tutto questo sta generando un quadro di estrema difformità nell’accesso alle cure e sta portando i percorsi diagnostico/terapeutico/assistenziali ad una deriva disumana senza precedenti.
Inoltre, in un quadro di estrema criticità per i conti pubblici, la spesa per l’esecuzione dei tamponi a tappeto per l’intero flusso di operandi/ricoverandi in ingresso in una struttura sanitaria, senza discrimine sintomatologico, rappresenta uno spreco inutile di risorse per la collettività.
La dott.ssa Corda ha provato a far prevalere il buon senso, ma è stata sanzionata con 3 procedimenti disciplinari.
REDAZIONE CDC – Dottoressa cosa ci può dire a proposito? Come si sente?
“Mi sento come può sentirsi una professionista che ha sempre creduto in questo lavoro e che ora ha la percezione di essere stata tradita nella misura in cui assiste impotente a quello stravolgimento, in termini di razionalità e di scientificità, relativamente a certe pratiche adottate nella gestione del paziente, discostandosi tali pratiche dalle nozioni apprese durante il percorso formativo che hanno posto le basi della conoscenza e che si sono concretizzate nella pratica clinica sempre espletata nel rispetto della deontologia e nella consapevolezza di voler e di dover operare secondo scienza e coscienza”.
- REDAZIONE CDC – È rientrata in servizio?
“Dopo 10 giorni di sospensione previsti dal provvedimento del secondo procedimento disciplinare a cui sono stata sottoposta, rientro in reparto con il cuore listato a lutto per la consapevolezza di dover tornare in un ambiente che mi si presenta ostile nella misura in cui impone l’attuazione di protocolli non condivisibili per l’evidente contrasto con quelli che sono i principi di logicità e di scientificità che mi appartengono.
Seppure possa esserci una qualche indicazione alla somministrazione del tampone ad un paziente sintomatico, anche con tutti i limiti della metodica già evidenziati dal suo stesso ideatore e considerando che è sempre la clinica del paziente a doverci guidare verso il sospetto diagnostico, tuttavia, non si fonda su alcun substrato razionale e/o scientifico il principio secondo il quale, sulla base dei suddetti protocolli, un paziente asintomatico, ossia in assenza di qualsivoglia criterio clinico anamnestico ascrivibile a Covid o ad altra patologia respiratoria, debba essere sottoposto a tampone rinofaringeo alla ricerca del SARSCOV2.
Peraltro, la eventuale positività al tampone in un paziente afferente in P.S. per patologie differenti dalla Covid (per es. Ictus, politrauma, addome acuto, etc.) potrebbe compromettere o rendere comunque difficile la gestione logistica, clinica e diagnostico/ terapeutica del paziente.
Insomma, tali procedure possono rendere complessa la gestione dei pazienti positivi non affetti da Covid, comportando inoltre implicazioni medico legali non trascurabili per il personale sanitario”.
- REDAZIONE- Com’è il suo rapporto coi suoi colleghi e coi suoi superiori?
“Per quanto concerne il rapporto con i colleghi, questo rimane saldo nella misura in cui si esplica in quella comunità di intenti finalizzata ad assistere il paziente al meglio, ma lo stesso è costantemente minato da certe diversità di vedute in merito alle modalità di attuazione di tale assistenza relativamente alle indicazioni e alle regole contemplate in quei protocolli dettati dall’alto e accettati acriticamente dalla maggior parte dei colleghi. Il rapporto con i superiori è reso difficile dalla impossibilità, ormai appurata, di fare loro giungere, seppur dopo innumerevoli tentativi, il messaggio relativo alle criticità derivanti da questo tipo di gestione dell’assistenza al paziente, in quanto non è possibile pensare che l’accesso alle cure sia condizionato e subordinato alla esecuzione e all’esito di un tampone .
Non può essere un rapporto ottimale con i superiori quello che si manifesta con continui richiami e provvedimenti disciplinari in assenza di un più proficuo confronto, più volte richiesto dalla sottoscritta, volto allo scambio aperto di vedute e alla disquisizione anche sulla base delle ormai innumerevoli evidenze scientifiche. Nonostante le numerose segnalazioni alla Direzione Sanitaria, l’uso di tali procedure si è mantenuto a tutt’oggi. Il fatto di non essermi attenuta ai suddetti protocolli e di avere utilizzato in scienza e coscienza il discrimine sintomatologico nella scelta di adottare lo strumento del tampone a fini diagnostici, anche avvalendomi di quella piccola breccia legislativa fornita dapprima dalla legge 199 e poi dalla nuova circolare ministeriale, mi è valso un richiamo verbale da parte della direzione sanitaria e successivamente la notifica di ben 3 contestazioni d’addebito con la convocazione in audizione dinnanzi ad una commissione disciplinare nel contesto di ben 3 procedimenti disciplinari che si sono susseguiti in termini temporali strettissimi e che, nonostante la stesura supportata dai legali di corpose e articolate memorie difensive ben circostanziate e corredate da valide motivazioni scientifiche e giuridiche, non sono esitati in una archiviazione bensì si sono conclusi con 3 provvedimenti disciplinari”.
- REDAZIONE CDC – In cosa hanno esitato i 3 provvedimenti disciplinari?
“Il primo prevedeva una sanzione pecuniaria, il secondo una sospensione di 10 giorni senza stipendio e il terzo una sospensione di 30 giorni senza stipendio. I primi 10 giorni di ottobre ho scontato la mia seconda pena . A novembre probabilmente verrà messo in atto il terzo provvedimento disciplinare di 30 giorni di sospensione. Intanto dal mese di aprile mi si impedisce di lavorare in P.S. essendo stata relegata nel repartino destinato ad area COVID, presso il quale afferiscono tutti i pazienti positivi. Pensavo di aver superato lo stato d’ansia e il profondo senso di frustrazione provocati da questo tipo di vessazione in quanto avevo già subito l’allontanamento dal mio posto di lavoro per ben 14 mesi (1 anno e 2 mesi) senza stipendio in virtù del DL 44 del 1 Aprile 2021. Ma a tanto dolorosa esperienza non ci si abitua. E così la sofferenza si rinnova implacabilmente”.
- REDAZIONE CDC – Come si difenderà?
“Mi difenderò cercando innanzitutto di mantenere la Centratura al fine di tutelare la salute fisica e psichica largamente minate dai suddetti contesti lavorativi. Inoltre mi difenderò con la contestazione della legittimità procedurale , nei contenuti e nelle conclusioni dei suddetti procedimenti disciplinari che in caso di mancato annullamento vedranno la sottoscritta volta ad esperire le tutele più opportune in sede giurisdizionale”.
- REDAZIONE CDC – Raffaele Varvara, come finirà?
“Purtroppo o per fortuna, non sono solo e coi colleghi che stanno subendo lo stesso mio accanimento, ci sentiamo dalla parte giusta della storia. Continueremo ad anteporre sempre l’empatia, il ragionamento critico e l’umanità nell’esercizio delle nostre funzioni di cura e non saremo mai complici anche di fronte al ricatto del licenziamento: potete contare sulla nostra coerenza e integrità morale”.
Testimonianze davvero da brividi. E’ l’Italia, ma gli italiani sono anche questo: coraggio e umanità, in questa disumana sanità. Che, purtroppo, oggi fa rima con società.