“Con partnership che comprendono oltre 850 organizzazioni interreligiose, influenti decisori politici e una rete di oltre cinque milioni di attivisti e 250 influencer sui social media, il Combat Antisemtism Movement guida un fronte unito contro l’odio per gli Ebrei“.
Così si descrive il Combat Antisemtism Movement (CAM), all’apparenza un gruppo indipendente a capo di un movimento globale. Ma è davvero “a capo di qualcosa”?
Entriamo nel merito.
Secondo il movimento le sue “iniziative chiave” includono “la Coalizione globale delle città che combattono l’antisemitismo e collaborazioni specializzate con i governatori e i legislatori degli Stati Uniti“.
Dicono di “raggiungere milioni di persone attraverso campagne digitali, collaborazioni con influencer e un laboratorio di innovazione“.
Hanno “collaborazioni” con “quasi mille” gruppi.
Il movimento, nato con l’impegno di combattere l’antisemitismo, conta oggi più di 850 organizzazioni iscritte come “membri” e provenienti da tutto il mondo.
Eccone una selezione: la maggior parte di esse ha sede negli Stati Uniti, ma ve ne sono altre in tutta l’America Latina, in Europa, in Australasia e in altri Paesi, tra cui Sudafrica e Russia. Non ce ne sono in Africa (a parte il Sudafrica) e non ce ne sono a Cuba, in Venezuela, in Bolivia, in Corea del Nord, in Cina, in Libano, nello Yemen, in Iran e in Iraq.
Sembra una rete globale molto estesa. Ma chi c’è dietro?
Per rispondere a questa domanda è necessario togliere diversi strati dalla cipolla.
Innanzitutto non esiste un’organizzazione registrata negli Stati Uniti con questo nome. Esiste però una Combat Hate Foundation, che è il veicolo organizzativo che gestisce il movimento. È registrata presso l’Internal Revenue Service. I documenti pubblici mostrano che è finanziata da diverse fondazioni sioniste. I maggiori contribuenti sembrano essere le fondazioni associate alla famiglia Beren, con sede in Kansas, una famiglia che ha fatto fortuna nell’industria del petrolio e del gas.
Nel 2021, The Forward aveva riferito che la Combat Hate Foundation funzionava come un gruppo di facciata (finanziamenti occulti) per il miliardario del petrolio del Kansas Adam Beren. Ma questa rivelazione ci dice poco. Palestine Declassified ha rivelato che la Combat Hate Foundation fa parte di una “joint venture” gestita dal regime israeliano, di cui è responsabile il Ministero degli Affari della Diaspora. Questa joint venture è gestita in modo ambiguo dal Ministero attraverso un intermediario aziendale, Voices of Israel, anche se sul sito web del Combat Antisemitism Movement non si fa menzione di questo rapporto.
Ma il rapporto è ben delineato sul sito web di Voices of Israel: “Voices of Israel ha con lo Stato di Israele un accordo di joint venture gestito dal Ministero degli Affari della Diaspora e della Lotta all’Antisemitismo“.
Combat Antisemitism Movement, in altre parole, fa parte della rete segreta del regime sionista. Alla luce di questa rivelazione l’impressionante natura delle 850 organizzazioni “partner” assume una sfumatura più sinistra.
Combat Antisemitism Movement è, a tutti gli effetti, una copertura per il Ministero degli Affari della Diaspora, il dipartimento del regime responsabile della lotta globale contro il movimento di liberazione della Palestina.
[Il CAM] ha più di 850 organizzazioni partner – una formidabile rete diretta a livello centrale. Ma, nonostante sia una copertura per il regime genocida, la maggior parte delle risorse che lo sostengono provengono da un’altra fonte. Nel 2019, quando era stato creato, era poco chiaro chi fosse dietro al Combat Antisemitism Movement. A metà del 2020 erano iniziati a trapelare i nomi del personale e dei consulenti senior.
Non sorprende che due dei suoi quattro consulenti senior provenissero direttamente dal Ministero degli Affari Strategici, il dipartimento incaricato di prendere di mira gli attivisti pro-Palestina in tutto il mondo. Erano la generale di brigata Sima Vaknin Gil, già ufficiale dei servizi segreti israeliani ed ex capo censore dell’entità. All’epoca era direttrice generale del Ministero degli Affari Strategici.
[L’altra consulente senior era] Revital Yakin Krakowsky. Il CAM era stato reticente nell’ammettere che anche lei lavorava per il Ministero, dicendo solo che aveva fornito consulenza a presidenti, ministri del governo, sindaci, organizzazioni internazionali, ecc, in nessun Paese specifico. In realtà, secondo la sua pagina LinkedIn, aveva lavorato a tempo pieno presso il Ministero degli Affari Strategici dal gennaio 2017 fino alla sua chiusura, nel maggio 2021.
Altri collegamenti diretti con il regime sono il fatto che il direttore, Sacha Dratwa, aveva lavorato per il New Media Operations Team delle forze di occupazione. In effetti, ha una lunga carriera di propagandista di regime. Dratwa è belga. Da colono, era entrato a far parte delle Forze di Occupazione israeliane (IOF) e aveva studiato all’Interdisciplinary Center Herzliya (IDC). Nel 2008/2009 aveva diretto la campagna di monitoraggio online in lingua francese presso la situation room HelpUsWin.org allestita all’IDC a sostegno dell’operazione Piombo Fuso a Gaza. Help Us Win era stato sponsorizzato dal regime e gestito all’IDC con il sostegno della risorsa del regime StandWithUs. Aveva lavorato presso l’Unità dei portavoce dello IOF tra il maggio 2010 e il novembre 2014, arrivando a ricoprire la posizione di capo del New Media Desk. Nel 2016 si era trasferito a New York per gestire le attività di propaganda digitale per il Congresso Ebraico Mondiale, incarico che aveva lasciato nel 2019. Sempre nel 2019, Dratwa aveva partecipato alla Conferenza Digitell19 del Ministero degli Affari Strategici.
C’erano voluti altri tre anni perché i dirigenti dell’organizzazione ammettessero di essere coinvolti, e solo dopo che il collegamento era stato rivelato da The Forward. Ma, anche in quel caso, si era cercato di nascondere la fonte di finanziamento dei gruppi.
Alla domanda se Beren finanziasse effettivamente Combat Antisemitism, un portavoce e consigliere senior del CAM, Misha Galperin, aveva risposto: “Abbiamo un certo numero di finanziatori che vogliono rimanere anonimi, quindi non è un punto che mi sentirei di approfondire“. The Forward aveva anche rivelato che era stato fatto di tutto per sopprimere il legame con la famiglia Beren.
Quando, nel dicembre 2019, un blog di sinistra chiamato Jewish Worker aveva pubblicato su Twitter degli screenshot che collegavano Adam Beren e Berexco alla Combat Hate Foundation, Twitter aveva detto che [il post] violava le regole “contro la pubblicazione di informazioni private”. “Qualcuno ha fatto in modo che Twitter mi costringesse a cancellare i miei tweet che riguardavano specificamente questo argomento“, aveva spiegato l’editore di Jewish Worker, che tiene un blog e twitta in forma anonima e che aveva parlato solo a condizione che l’anonimato fosse mantenuto.
Interrogato sulla segretezza, Galperin aveva dichiarato che i donatori del gruppo preferivano l’anonimato per mantenere concentrata l’attenzione sull’antisemitismo – piuttosto che su loro stessi o sulla loro politica specifica. “Non si tratta di trasparenza, ma di non volere che il proprio ego faccia parte della cosa“, aveva detto.
Una ricerca nei documenti presentati all’Internal Revenue Service, tuttavia, rivela che le fondazioni gestite dalla famiglia Beren hanno speso milioni di dollari per finanziare il CAM. Tre distinte fondazioni Beren (Israel Henry Beren Charitable Foundation Inc, Israel Henry Beren Charitable Trust, Robert M Beren Foundation Inc) hanno versato milioni di dollari ad una quarta, la Beren Sea Foundation. Questa, a sua volta, nel triennio 2020-2022, ha donato 6,6 milioni di dollari alla Combat Hate Foundation, quasi il 70% delle sue entrate totali del periodo.
Altre donazioni da parte delle fondazioni della famiglia Beren indicano il pieno sostegno che la famiglia dà al genocidio in Palestina. Tra queste, oltre mezzo milione di dollari agli Amici dell’IDF, oltre 2 milioni al culto genocida di Chabad e quasi 9 milioni alla Ohr Torah Stone, che addestra direttamente le reclute ultraortodosse per le forze di occupazione con i programmi “Hesder” Yeshiva negli insediamenti illegali. Si tratta di un meccanismo per attirare le reclute ultra-ortodosse nelle forze di occupazione permettendo loro di studiare la Torah a tempo parziale e poi passare il tempo con le forze di occupazione uccidendo i palestinesi. C’è persino una specifica Hesder Yeshiva costruita su terreni rubati vicino a Efrat, in Cisgiordania, che prende il nome dal patriarca della famiglia: Robert M. Beren Machanaim Hesder Yeshiva
Ancora una volta scopriamo che chi si batte contro l’antisemitismo è, in realtà, un sostenitore militante, anzi un agente, del genocidio in Palestina.