Trump ha promosso una serie di piani per rendere l’America forte – a spese di altri Paesi. Dato il suo motto “noi vinciamo, voi perdete”, alcuni dei suoi piani produrrebbero l’effetto opposto a quello da lui immaginato.
Non sarebbe un gran cambiamento nella politica degli Stati Uniti. Ma, secondo me, la Legge di Hudson potrebbe raggiungere il suo apice sotto Trump: ogni azione degli Stati Uniti, quando attaccano gli altri Paesi, tende a ritorcersi contro di loro e finisce per costare alla politica americana almeno il doppio.
Abbiamo visto che è diventato normale per i Paesi stranieri essere l’oggetto dell’aggressione politica degli Stati Uniti. Il più evidente è il caso delle sanzioni commerciali americane contro la Russia. Se non sono gli Stati Uniti a perdere (come nel caso del sabotaggio al gasdotto Nord Stream che ha portato all’impennata delle esportazioni statunitensi di GNL), saranno i loro alleati a farne le spese. Tra qualche anno, gli Stati Uniti potrebbero perdere l’Europa e la NATO a causa delle pressioni esercitate dai Paesi europei per dichiarare la propria indipendenza dalla politica statunitense.
Per accelerare il distacco dall’Europa, i leader della NATO chiedono sanzioni contro la Russia e la Cina, affermando che “le importazioni equivalgono alla dipendenza”. Seguiranno controsanzioni russe e cinesi che bloccheranno la vendita di altre materie prime all’UE.
In passato abbiamo discusso del piano di Trump di aumentare le tariffe doganali statunitensi e di usarle in modo simile all’imposizione di dazi contro i Paesi che non si allineano alla politica estera degli Stati Uniti. Questa proposta è molto contrastata da interessi repubblicani consolidati e, in ultima analisi, è il Congresso che deve approvare le sue proposte. Quindi Trump probabilmente minaccia troppi interessi acquisiti per fare di questa proposta una grande battaglia all’inizio della sua amministrazione. Sarà impegnato a fare piazza pulita [di quei settori] dell’FBI, della CIA e delle forze armate che, fin dal 2016, sono sempre state contro di lui.
Il tentativo di Trump di militarizzare il dollaro funzionerà meglio delle sanzioni commerciali statunitensi?
Il vero jolly potrebbe rivelarsi la minaccia di Trump di militarizzare il dollaro. Almeno questa sfera della politica estera è più sotto il controllo del suo ramo esecutivo. Oltre a voler controllare il commercio mondiale di petrolio e le principali piattaforme mediatiche, Trump vuole poter danneggiare altri Paesi. Questa è la sua idea di negoziazione e di transazione.
Nell’edizione del fine settimana del Financial Times, l’articolo di Gillian Tett sulla “Maganomics” proposta da Trump cita il professore di Stanford Matteo Maggiori che sottolinea come il potere nazionale “non riguardi solo i beni, ma anche il denaro. Secondo le nostre stime, il potere geoeconomico degli Stati Uniti si basa sui servizi finanziari, mentre il potere cinese si basa sul settore manifatturiero” [1].
Quindi, oltre a puntare al controllo delle forniture mondiali di petrolio e GNL, Trump vuole basare il potere degli Stati Uniti sul suo sistema finanziario. Di recente, ha minacciato di punire i Paesi BRICS che cercheranno un’alternativa al dollaro.
Questa strategia si basa sul fatto che i Paesi hanno bisogno di accedere ai dollari e ai mercati finanziari statunitensi, così come hanno bisogno del petrolio e della tecnologia informatica sotto il controllo commerciale degli Stati Uniti. Gli Stati Uniti hanno provato ad escludere la Russia e altri Paesi dal sistema di compensazione bancaria SWIFT, ma, come accade di solito con le sanzioni, Russia e Cina hanno creato un proprio sistema di ripiego, quindi il piano non ha funzionato.
Gli Stati Uniti hanno convinto la Banca d’Inghilterra a confiscare le scorte d’oro del Venezuela e a offrirle all’opposizione di destra. La cosa ha funzionato. L’UE e gli Stati Uniti hanno confiscato insieme i 300 miliardi di dollari che la Russia deteneva all’estero. La cosa ha funzionato, e l’UE ha semplicemente dato gli interessi (circa 50 miliardi di dollari accumulati) all’Ucraina per aiutarla a combattere la Russia.
Prima però gli Stati Uniti avevano sequestrato tutte le riserve monetarie dell’Ucraina per custodirle, apparentemente per aiutarla a ripagare i debiti che aveva accumulato. Non credo che questo oro sarà messo a disposizione per la ricostruzione dell’Ucraina. Riflette semplicemente uno schema statunitense di accaparramento di beni. L’esercito statunitense si era accaparrato le scorte d’oro della Libia quando Gheddafi aveva cercato di usarle per creare un’alternativa africana al dollaro, basata sull’oro, che le banche centrali potessero detenere. Gli Stati Uniti si sono accaparrati anche le riserve auree della Siria, lasciando solo le esportazioni di petrolio come trofeo della loro conquista. Lo stesso hanno fatto con le riserve auree dell’Afghanistan, mentre se ne andavano. Quindi, ovviamente, gli Stati Uniti prevedono che l’oro torni ad avere un ruolo importante nel sistema monetario mondiale. (Come se non bastasse, quando i funzionari statunitensi avevano finalmente restituito all’Iran il denaro sequestrato dalle sue riserve, lo avevano definito un regalo e il Congresso aveva bocciato l’atto).
La grande domanda è: quanto potrà funzionare a lungo termine una politica finanziaria americana così aggressiva? Allontanerà gli altri Paesi? Diventerà autolesionista come altri giochi internazionali degli Stati Uniti?
Parliamo di come il sistema monetario mondiale potrebbe evolvere in risposta al tentativo americano di ottenere il controllo finanziario.
A me sembra che un simile tentativo sia impossibile da realizzare. Come può l’America o qualsiasi altra nazione pensare di poter basare il proprio potere internazionale solo sulla finanza? Tutti i paesi possono creare finanza e denaro. Ma non tutti i Paesi sono in grado di industrializzarsi – o, nel caso degli Stati Uniti e della Germania, di reindustrializzarsi.
Gli Stati Uniti si sono deindustrializzati e le loro politiche neoliberiste di privatizzazione hanno caricato l’economia di un’enorme spesa per il servizio del debito, i costi dell’assicurazione sanitaria e i costi immobiliari. Il settore FIRE (Finanza, Assicurazioni e Immobili) ha aumentato la sua quota del PIL dichiarato, ma il suo reddito non è affatto un “prodotto”. Si tratta di un pagamento di trasferimento dall’economia di produzione e consumo al settore rentier. Questo rende il PIL americano molto più “vuoto” di quello della Cina e della sua economia di mercato socializzata. Quando il costo del credito e degli affitti sale, sale anche il PIL.
Oggi il denaro viene creato al computer. Qualsiasi nazione o gruppo regionale forte e autosufficiente può creare il proprio denaro. Non hanno più bisogno di basare il loro denaro e il loro debito su lingotti d’argento e d’oro.
Penso quindi che Trump viva in un mondo passato – soprattutto se si considera che la destra repubblicana, quella dell’”hard money”, si strugge per il vecchio standard di cambio aureo, insistendo sul fatto che la creazione di denaro da parte del governo è intrinsecamente inflazionistica (come se il credito bancario non lo fosse affatto). Credo che questo lo renda un genio: è in grado di sostenere due punti di vista opposti allo stesso tempo, ciascuno con la propria logica che contraddice l’altro punto di vista.
Gli Stati Uniti erano molto forti nel mondo passato, quando l’oro era l’asset principale delle banche centrali. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il Tesoro americano era riuscito a monopolizzare l’80% dell’oro monetario delle banche centrali mondiali fino al 1950, anno in cui era scoppiata la Guerra di Corea. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, gli altri Paesi avevano avuto bisogno di dollari per acquistare le esportazioni statunitensi e per pagare i debiti denominati in dollari, e per ottenerli avevano dovuto vendere il loro oro.
Ma, nel 1971, la spesa militare estera degli Stati Uniti aveva dissipato quel controllo. Le statistiche che avevo compilato per Arthur Andersen nel 1967 mostravano che l’intero deficit della bilancia dei pagamenti statunitense – il deficit che stava prosciugando l’oro degli Stati Uniti – era costituito dalle spese militari statunitensi all’estero. Così le riserve monetarie delle banche centrali erano costituite principalmente dal debito del Tesoro americano, per il quale spendevano il loro eccesso di dollari. Questo è stato il cambiamento che il mio libro Super Imperialismo aveva descritto nel 1972. Ma i tentativi degli Stati Uniti di armare la finanza hanno portato i Paesi non solo a cercare di evitare di detenere altri dollari, ma anche a non lasciare il proprio oro in deposito negli Stati Uniti o in Gran Bretagna. Persino la Germania aveva chiesto che le sue riserve auree venissero rimpatriate dalla banca della Federal Reserve di New York, dove sono custodite gran parte delle riserve auree delle banche centrali europee da quando, negli anni Trenta, si era assistito a un’ondata di capitali in fuga verso gli Stati Uniti, mentre si profilava la Seconda Guerra Mondiale.
Come la moneta nazionale, il denaro internazionale è un debito, a meno che non si tratti di un bene puro come l’oro. Gli Stati Uniti hanno potuto sostituire l’oro con il debito pubblico e privato in gran parte perché forniva una piattaforma per i pagamenti internazionali. Questo sembrava rendere il debito “buono come l’oro” per le riserve internazionali.
Non sembra che questo sia uno stato permanente degli affari internazionali. Chiunque può creare denaro. Ma come si fa a farlo accettare? Questo è il problema che gli Stati Uniti devono affrontare oggi. Man mano che il debito statunitense cresce, fino a quando i dollari potranno essere accettati dalle altre economie se non c’è la necessità intrinseca per gli altri Paesi di utilizzarli per effettuare i pagamenti del proprio commercio estero, dei prestiti e degli investimenti?
Il denaro è un debito pubblico. Che sia emesso in forma cartacea o elettronica, conserva il suo valore in ultima istanza se viene accettato come pagamento per le tasse. Ma Trump e i repubblicani vogliono tagliare le tasse. Se non c’è bisogno di ottenere dollari per pagare le tasse, perché tenerli?
Il groviglio del debito estero
Un sostegno al dollaro è la necessità del Sud globale e di altre economie debitrici di ottenere dollari per pagare i debiti esteri che hanno accumulato. Ma quanto potrà durare? Ecco il problema: se pagano i debiti esteri che hanno accumulato seguendo le politiche distruttive del FMI, della Banca Mondiale e di altri organismi del Washington Consensus, non avranno denaro da investire nella propria crescita economica. Chi metterà al primo posto gli interessi degli obbligazionisti e delle banche statunitensi rispetto a quelli della propria economia?
Detto in un altro modo: per quanto tempo i Paesi debitori accetteranno di rimanere in un sistema che aveva promesso di aiutarli a crescere, mentre invece non ha fatto altro che indebitarli ulteriormente e costringerli a svendere i diritti minerari, le infrastrutture e le imprese pubbliche per raccogliere il denaro necessario a pagare i debiti, al fine di mantenere i tassi di cambio? Il sistema è truccato contro di loro.
Questo problema oggi è aggravato dall’aumento del tasso di cambio del dollaro rispetto a molte altre valute. Nel tentativo di affrontare questo problema le idee di Trump sono molto confuse. Da un lato ha parlato di volere un tasso di cambio più basso per il dollaro. Crede che una svalutazione competitiva possa in qualche modo rendere più competitive le esportazioni statunitensi. Ma l’economia statunitense è stata troppo deindustrializzata sotto il neoliberismo per poter ricostruire la propria potenza industriale nel prossimo futuro. Per questo motivo, abbassare il dollaro è impraticabile come mezzo per stimolare le esportazioni statunitensi.
Trump ha parlato di ridurre i tassi di interesse per contribuire ad alimentare un boom dei mercati azionari e obbligazionari. Per molti Paesi, come il Canada, la riduzione dei tassi d’interesse porta a un deflusso di capitali verso Paesi stranieri che pagano tassi più alti. Ma l’economia statunitense è diversa. L’abbassamento dei tassi di interesse ottenuto con la politica del QE [Quantitative Easing] ha di fatto attirato capitali stranieri, facendo aumentare il tasso di cambio del dollaro. L’abbassamento dei tassi d’interesse statunitensi dopo il picco del 20% raggiunto da Paul Volcker nel 1980 aveva portato al più grande boom del mercato obbligazionario della storia, insieme al boom del mercato azionario che aveva attirato gli investitori internazionali.
Per cominciare, l’anticipazione delle politiche di Trump lo ha fatto salire. Dallo scorso ottobre il tasso di cambio del dollaro canadese si è deprezzato, tanto che il dollaro USA viene acquistato a 1,44 dollari da 1,34 dollari. Il prezzo di un euro rispetto al dollaro USA è sceso da 1,12 a 1,03 dollari. E le valute dei Paesi del Sud globale sono sottoposte a forti pressioni per cercare di mantenere le obbligazioni in dollari e altri prestiti denominati in dollari.
Quindi, nel bene e nel male, sembra che quest’anno il dollaro sarà forte. Trump ha chiarito di voler mantenere l’”esorbitante privilegio” del dollaro, di poter semplicemente stampare denaro, lasciando che gli altri Paesi impediscano alle loro valute di apprezzarsi e di danneggiare le loro esportazioni riciclando i loro afflussi di dollari per continuare ad acquistare titoli del Tesoro USA. Ma questi pagherò stanno aumentando a dismisura, mentre il deficit di bilancio esplode.
Un problema correlato è quanto a lungo il credito agevolato della Federal Reserve potrà continuare a gonfiare i prezzi di azioni e obbligazioni, visto l’aumento di arretrati e inadempienze. La minaccia maggiore è rappresentata dagli immobili commerciali, un settore in cui pagamenti dei mutui programmati superano gli attuali redditi da locazione, mentre gli edifici più vecchi devono far fronte a un aumento dei tassi di sfitto. Prendiamo gli immobili commerciali. Tassi di occupazione del 40% in vecchi edifici. E non possono essere riqualificati per uso residenziale, perché non hanno finestre per far entrare aria fresca, né una buona vista, né il sostegno del quartiere. Come la zona della City finanziaria di Londra, Wall Street e altri centri finanziari statunitensi situati grattacieli di vetro non hanno servizi, viste, quartieri a uso misto o aria fresca da finestre apribili.
Nel settore dei consumi, i prestiti per le automobili, il debito delle carte di credito e i prestiti agli studenti stanno diventando sempre più pesanti.
Qualcosa dovrà succedere. Ciò avrà ripercussioni non solo sui mercati finanziari statunitensi, ma anche sulla bilancia dei pagamenti, poiché i capitali stranieri fuggiranno verso la sicurezza lasciando gli Stati Uniti. Sarebbe la prima volta in più di un secolo che questa fuga verso la sicurezza avviene lontano dagli Stati Uniti e non verso di essi.
L’economia statunitense è stata ridisegnata per gonfiare i guadagni finanziari e si è deindustrializzata esternalizzando la forza lavoro. Così quella che sembrava essere l’industria statunitense è stata sostituita dalla deindustrializzazione finanziarizzata.
Ciò significa che la spinta dei BRICS a difendersi collettivamente dall’egemonia statunitense implica in realtà un’ampia e fondamentale spaccatura su quale sia il modo auspicabile di organizzare le proprie economie per opporsi al capitalismo finanziario predatorio. In particolare, come sta cercando di fare Trump, imponendo sanzioni contro i Paesi che si allontanano dal dollaro.
ADDENDUM:
Gillian Tett, “Dollar power means tariffs are not only game in town”, Financial Times, 11-12 gennaio 2025, ribadisce la sua tesi sulla militarizzazione del dollaro citando un curioso commento del Segretario al Tesoro proposto da Trump: “Bessent ha anche suggerito che i Paesi che godono di protezione militare da parte dell’America dovrebbero essere costretti ad acquistare più debito in dollari, come qui pro quo”, andando da questi Paesi “e dicendo che abbiamo queste obbligazioni militari a 40 o 50 anni [da comprare]”, ha detto, citando il Giappone, i membri della Nato e l’Arabia Saudita.
Sicuramente un acquisto di tale portata farebbe salire il prezzo del dollaro, facendo scendere il tasso di cambio dell’euro e dello yen. Da un lato l’amministrazione Trump vuole una nuova versione dell’Accordo di Plaza del 1985 che “costrinse gli altri a una rivalutazione”, ma Trump ha annunciato il suo [duplice] obiettivo di abbassare il tasso di cambio del dollaro (come se questo rendesse più competitive le sue esportazioni industriali) e di chiedere agli altri Paesi di acquistare più titoli del Tesoro americano, facendo salire il dollaro”. Come dice un proverbio cinese, “Chi cerca di percorrere due strade contemporaneamente si rompe l’articolazione dell’anca”.