Le oligarchie multipolari non ci salveranno
In un mondo dove l’esistenza stessa è rivendicata come bottino dall’ anonimo Idolo del Mercato, si compie il passaggio a un sistema di controllo che non necessita più della forza coercitiva come deterrente alla disobbedienza. La vuota società del consumo raffigura il perfetto matrimonio tra l’interesse del capitale finanziario e le caratteristiche disgreganti dell’attuale ideologia (post)-liberale. La tirannia finanziaria si avvale di una giustificazione ideologica ad hoc per abbattere ogni barriera che si frappone al proprio dominio assoluto.
Uscita vittoriosa dal sanguinoso XX secolo, l’ideologia liberale rivendica il diritto di dichiararsi unica e totale garante della verità. Originariamente caratterizzata dal culto dell’individuo eretto a soggetto della storia, si muove lungo la dialettica della “liberazione perpetua” da tutte le “barriere” che potrebbero ostacolarne la massima espressione.
Con la fine del mondo bipolare e la scomparsa del socialismo reale, che ha rappresentato un’alternativa al suo dominio, il liberalismo cambia volto. Seguendo una logica interna, si evolve nell’attuale fase post-ideologica, liberandosi anche delle proprie radici empiriste e, quindi, dal fardello della verità.
Forte di questa sovrastruttura per eccellenza, ogni identità collettiva — sia essa etnica, religiosa, culturale, di classe e addirittura biologica — viene erosa e dichiarata obsoleta dagli alfieri del politicamente corretto. L’uomo “liberato” da ogni barriera diviene un soggetto atomizzato, sradicato da qualunque identità profonda e abbandonato all’unica cosa che resta: l’anonimato sgretolante del capitalismo. La condizione di alienazione sempre più profonda è adornata da schwa e arcobaleni, distrazioni e vizi degni del “migliore dei mondi possibili.”
Per il dogma attuale, la libertà non rappresenta più la sua antica funzione, bensì si riduce alla mera autonomia di servire la macchina capitalistica al meglio delle proprie capacità. Questo sistema non necessita di polizie segrete e purghe per mantenere il proprio potere: possiede i mezzi per imporre una narrazione indiscutibile e ingabbiare le menti in una prigione di falsità — in altre parole, possiede la totale egemonia.
Dal genio di Antonio Gramsci
Un’eloquente definizione di questo concetto, applicabile oltre i rigidi confini del marxismo letterale, viene dal genio di Antonio Gramsci. Partendo dall’analisi del marxismo classico, Gramsci riconosce l’importanza della questione economica alla base dei rapporti sociali e distingue la società in classi dominanti e dominate, dove le prime influenzano le espressioni culturali, ideologiche e politiche della società, ovvero la sovrastruttura. Tuttavia, Gramsci si interroga: com’è stata possibile la rivoluzione bolscevica in Russia? Come ha fatto Lenin a riuscire nell’impresa in un paese che, secondo la teoria marxista, non aveva ancora sviluppato le condizioni materiali per una rivoluzione?
Secondo Marx, infatti, la rivoluzione comunista sarebbe dovuta avvenire in paesi avanzati industrialmente, che avevano pienamente accettato il modello capitalistico e in cui si era sviluppata la divisione tra borghesia e proletariato. Ma non era il caso della Russia, dove la predominanza del settore agricolo, l’assenza di un sistema politico borghese e la scarsa presenza di proletariato rendevano improbabile una rivoluzione. Lenin aveva però aggiunto al marxismo la possibilità di creare un’avanguardia politica. Gramsci ritenne essenziali gli insegnamenti del leninismo, che dimostrarono come, in determinate condizioni, la sovrastruttura ideologica e politica potesse anticipare la base economica.
Il leninismo proponeva un’avanguardia politica per gestire il dominio pubblico e il governo. Per Gramsci, tuttavia, esiste un altro segmento della sovrastruttura, non legato alla gestione delle istituzioni, ma alla lotta tra idee e alla loro espressione collettiva: la società civile. Qui si può parlare di una vera “zona di espansione,” in cui risiedono scienza, cultura, filosofia, arte, giornalismo e tutte le aree dove si sviluppano e circolano le idee. È in questa sfera che si combatte una delle battaglie più cruciali per il controllo dell’egemonia: la lotta per le menti.
L’egemonia è dunque l’esercizio della volontà dominante di dirigere la cultura e di conseguenza le idee, i valori e le norme di una società, al punto da ottenere l’approvazione e il consenso anche da parte delle classi dominate. Nel contesto odierno, è evidente l’uso strumentale dell’egemonia per avallare l’ideologia liberale e la sua metamorfosi arcobaleno come unica custode della verità. Secondo la propaganda della classe dominante, i valori liberali sono universalmente veri e vanno, quindi, imposti a tutti i popoli del mondo, a qualunque costo.
In difesa del proprio interesse di classe, il potere esercita il pieno controllo della sovrastruttura, dominando sia la sfera politica che la società civile. Potremmo sostenere che, mentre il potere repressivo agisce quando le regole vengono infrante, la conquista dell’egemonia culturale assicura che la disobbedienza diventi non solo impossibile, ma anche impensabile.
Tuttavia, anche in una situazione di totale egemonia, la ribellione intellettuale e la nascita di una battaglia delle idee sono non solo possibili, ma inevitabili. Gramsci afferma che, nonostante lo strapotere della classe dominante, l’adozione o il rifiuto dell’egemonia dipende dal libero arbitrio degli intellettuali. La maggior parte di essi, che Gramsci definisce “intellettuali tradizionali“, metterà il proprio intelletto al servizio della visione dominante, diventando, oggi, garanti del totalitarismo liberale. Al contrario, l’intellettuale che rifiuta questa egemonia diventa un “intellettuale organico“, la cui mente si trasforma in un’arma nella lotta per una società più giusta.
L’autonomia di scegliere da che parte stare riflette l’indipendenza che il leninismo aveva mostrato nel contesto politico. Così come i bolscevichi avevano anticipato le condizioni materiali, così l’intellettuale ha la possibilità di rifiutare esplicitamente i valori promossi dalla classe dominante. La lotta per l’egemonia non è quindi una mera questione economica o politica, ma include anche coscienza e società. Nella società civile si gioca questa battaglia, dove chi è consapevole del proprio dovere storico può sfidare la visione dominante e lavorare per costruire un’alternativa.
Le oligarchie multipolari non ci salveranno
L’attuale fase post-ideologica del capitalismo richiede, tuttavia, un’evoluzione del pensiero di Gramsci. Con il sorgere del multipolarismo geopolitico che mette in crisi l’imperialismo americano, emerge una questione fondamentale. Il sistema occidentale sta affrontando una grave sfida, la sua finora indiscussa egemonia viene minacciata dalle borghesie emergenti del BRICS che ambiscono a una fetta di potere. L’unipolarismo geopolitico sta venendo rimpiazzato da un nuovo mondo che non riconosce più la sacralità delle istituzioni occidentali né il presunto universalismo del modello liberale.
Il capitale multipolare si vede in questa fase determinato a scardinare la sovrastruttura impostali dall’Occidentale in nome dell’interesse delle proprie borghesie nazionali propense a rivendicare una maggiore autonomia. Adottando politiche in base ai propri interessi, gli stati in questione negano l’indiscutibilita della precedente sovrastruttura e modificano la natura dell’egemonia.
Gli oligarchi multipolari sono però sicuramente meno propensi a voler abbandonare l’aspetto a cui indubbiamente il “logos occidentale” dedica il primato. Il dogma fondante dell’egemonia, di cui, ogni altro aspetto è il prodotto, è il culto che l’Occidente dedica all’Idolo del Mercato e alla propria vuota religione del consumo perpetuo. Il capitale, in fin dei conti, non ha bandiere, esso domina indifferentemente dai poli in cui è distribuito. Da ciò è indubbio che i profondi cambiamenti in atto, non rappresentano la negazione dell’universalità del prodotto filosofico occidentale ma piuttosto un adattamento dell’egemonia all’interesse dei propri ceti dominanti.
Sorga la Contro-Egemonia dell’Avvenire
Per definizione la contro-egemonia deve rappresentare un superamento dialettico dell’egemonia stabilita. Poiché l’egemonia è un prodotto del sistema economico capitalista a cui essa in cambio avvale di un aura sacrale, la contro-egemonia deve porsi in superamento dialettico ad esso. Costruire una contro-egemonia non può limitarsi a proporre una riorganizzazione dello stesso sistema in più poli: sarebbe come trattare i sintomi di un cancro senza rimuoverlo.
In un contesto in cui il capitale si ricostruisce in nuove configurazioni geopolitiche e l’egemonia si frammenta, il blocco contro-egemonico è in sua essenza il rifiuto radicale del paradigma economico e culturale che sostiene il sistema dominante. Una reale opposizione che non deve semplicemente accettare la chimera di una redistribuzione del potere tra poli geopolitici, ma ambire a una costruzione di un’alternativa che sovverta i valori fondanti dell’egemonia capitalista: l’idolatria del mercato, l’alienazione consumistica e la dissoluzione delle identità collettive in nome di un universalismo artificiale.
La contro-egemonia autentica deve porsi come il superamento dialettico dell’ordine esistente, capace di proporre un’etica del limite in opposizione alla limitatezza del consumo, e di promuovere una visione dell’essere umano radicata nella comunità e nella relazione, piuttosto che sull’individualismo atomizzato. Da qui l’importanza della società civile come campo di battaglia per la lotta intellettuale e culturale, e la necessità di una rielaborazione delle identità collettive in chiave non reazionaria, ma emancipatoria.
La costruzione di questa contro-egemonia necessità di intellettuali organici capaci di articolare una visione del mondo alternativa, sostenuta da una forza politica all’altezza del nemico. Deve emergere una narrazione che non si limiti a denunciare le contraddizioni del capitalismo globale, ma che sappia indicare concretamente una via di uscita dal sistema che lo genera, attraverso un progetto culturale, politico ed economico capace di unire il locale al globale, il particolare all’universale.
In questo senso, la crisi dell’unipolarismo offre una finestra storica: non per consolidare un pluralismo capitalista, ma per iniziare a costruire le basi di un ordine che riconosca il valore intrinseco delle comunità e dei popoli, liberandoli dal dogma capitalista e dalla sua egemonia culturale. La comprensione della criticità del momento storico e della natura del potere rende indispensabile l’azione. A noi il dovere di preparare questo terreno e rendere fertile la coscienza collettiva, affinché sia pronta per un nuovo “Avvenire.”