Se combatti sul terreno e con le armi scelte dal nemico, hai già perduto. È la lezione di Sun Tzu nell’Arte della guerra. Lo sapeva anche George Orwell nel fondamentale 1984, in cui sottolineava il potere delle parole, simboleggiato e descritto nel concetto di neolingua. Da decenni è in corso una potente guerra cognitiva contro l’uomo attraverso il linguaggio, prima con il politicamente corretto, poi con la sostituzione di parole e concetti, e la contemporanea proibizione di termini e categorie legate al linguaggio di sempre. Bertrand Russell, scienziato e filosofo legato all’oligarchia britannica, già nella prima metà del secolo scorso affermava che le scoperte delle scienze psicologiche unite alla conoscenza approfondita dei meccanismi del cervello umano avrebbero permesso di far credere alla gente che la neve è nera.
Ovvero, il potere sarebbe stato in grado di capovolgere i significati attraverso la manipolazione, l’invenzione e la proibizione delle parole. Ci siamo arrivati e, come intuì un grande sociologo, Jacques Ellul, acuto indagatore del potere della tecnica, i più esposti alla propaganda – i più portati ad accogliere la lingua del nemico – sono i ceti istruiti, alla moda, non la massa del popolo, sulla quale l’azione è più lunga e complessa, basata sulla pressione sociale e la coazione a ripetere.
Ogni potere è portato a imporre i propri valori attraverso slogan e parole; nel presente ha realizzato un enorme salto di qualità. L’ obiettivo è cambiare l’uomo nel profondo a partire dai meccanismi cerebrali e cognitivi, in particolare la corrispondenza pensiero-giudizio-linguaggio che li esprime. Obiettivo a lungo termine – la fase attuale è di transizione – è modificare le idee, l’approccio alla vita, la visione di sé e del mondo dell’essere umano per predisporlo alle tappe successive: l’accettazione dell’artificiale, l’ibridazione uomo-macchina (cyberuomo) sino al traguardo transumano, la trasformazione dell’uomo in una creatura del tutto diversa. A sua volta, il transumanesimo – lo dice la parola stessa – è un ulteriore passaggio, con destinazione il post-umanesimo, ovvero la costruzione/creazione di una specie non più umana. Il definitivo salto ontologico.
In quest’ottica, quello che abbiamo di fronte non è un avversario, o una visione del mondo, né, con il lessico di Carl Schmitt, uno iustus hostis, un avversario con cui batterci, ma nella prospettiva di una convivenza e reciproca accettazione, bensì un nemico assoluto, il cui scopo è la distruzione dell’Altro. Si dà il caso che l’Altro sia gran parte dell’umanità, la “trascurabile maggioranza” nella fulminante, disincantata definizione di Ennio Flaiano.
Una delle armi utilizzate nella guerra cognitiva – più incisiva in quanto condotta contro una controparte ancora ignara – sono le parole che utilizziamo. Il nemico è un grumo di eccezionale volontà di potenza, costituito dalla ferrea alleanza tra i colossi dell’industria non più “multi”, ma transnazionale, la finanza – per natura apolide, tendente all’Unico e all’universale – e i nuovi giganti della tecnologia informatica, cibernetica, neuroscientifica. I padroni del mondo, animati da un titanismo che spaventa per l’assenza di limiti e la decisa volontà di non fermarsi dinanzi a nulla, neppure alla menzogna più sfacciata, ripetuta mille volte sino a trasformarsi in verità agli occhi dei più, e alla negazione delle leggi della natura.
Guerra delle – e con – le parole. George Orwell affidò, in 1984, all’arcinemico (inesistente) del partito al potere, Emmanuel Goldstein, il compito di svelare meccanismi, artifici e obiettivi della neolingua, che agiva per sottrazione sino a dissolvere significati e concetti per assenza delle parole con cui esprimerli. Profezia avverata: l’impoverimento del lessico, la riduzione al presente di tempi e modi verbali, l’ignoranza di massa, sono già sotto gli occhi di chi osa vedere. Il passaggio più sofisticato è la sostituzione dei significati e dei giudizi insiti nelle parole, sino al capovolgimento, un’operazione di autentica guerra cognitiva di cui dobbiamo segnalare le conquiste territoriali nemiche. Il territorio siamo noi, io che scrivo, tu che leggi.
È quindi necessario riconoscere l’esistenza del conflitto e prendere posizione. Nel caso del linguaggio, rifiutando le parole del nemico. Ogni civiltà ha sempre attribuito enorme importanza – simbolica e pratica – all’atto di “dare i nomi “alle cose. Per il cristianesimo, per l’islam e l’induismo fu la divinità stessa, in principio, a conferire un nome – quello e non un altro – alle cose, ai concetti, alle creature. Nome che diventa anima, senso, criterio valutativo. Nella tradizione cinese, “rettificare le denominazioni”, ovvero fare chiarezza, è il primo obiettivo di chi governa. Nulla di nuovo sotto il sole: cambiano le modalità, diventano più potenti i mezzi, ma gli scopi restano identici. La differenza è che stavolta la meta finale è il superamento della creatura uomo.
Abbiamo un dovere preliminare: dare anche noi un nome al nemico, che non è una persona fisica o un’ideologia, piuttosto un complesso intreccio, un sistema di potere che non è più soltanto liberismo economico, globalismo, scientismo, materialismo prometeico, ma qualcosa in più: la somma eccede il totale. Il politologo Marco Tarchi propone di chiamarlo Occidentalismo, trascurando che non diverso è il sistema cinese. Pure, seguiamo Confucio, “rettifichiamo la denominazione” e chiamiamo occidentalismo il nemico, quanto meno perché in quello spazio geopolitico sono situate menti, centrali, officine, leve operative della guerra cognitiva.
Una prova schiacciante – ultima solo in ordine di tempo – è un nuovo glossario, non l’unico, poiché esiste anche quello dell’Università americana di Stanford: il vocabolario che chiama se stesso “Guida al linguaggio dell’Uguaglianza” (Equity Language Guide), promosso dal Sierra Club. Prima incongruenza, e primo indizio sospetto: il Sierra Club è infatti “l’organizzazione ambientalista di più antica data e influente negli Stati Uniti. Amplifichiamo il potere dei nostri milioni di membri e sostenitori per difendere il diritto di tutti a un mondo sano.” Così recita il sito web. Il “mondo sano” degli ambientalisti chic comprende la “gender equity”, ossia l’appoggio a tutte le istanze LGBT eccetera, l’entusiasta adesione all’Agenda 2030 di Onu e Davos, nonché “ esplorare, godere e proteggere i luoghi selvaggi della terra; praticare e promuovere l’uso responsabile degli ecosistemi e delle risorse della terra; educare e arruolare l’umanità per proteggere e ripristinare la qualità dell’ambiente naturale e umano; utilizzare tutti i mezzi legali per realizzare tali obiettivi.” Il direttore, Ben Jealous, è presentato come “esperto leader dei diritti civili, organizzatore di comunità, costruttore di coalizioni e attivista per la giustizia sociale”. Strano curriculum per il dirigente di un’organizzazione ampiamente provvista di mezzi economici, finanziata dai soliti noti, espressione del potere economico privato, il cui interesse per la “giustizia sociale” è assai dubbio. Preoccupa anche – le intenzioni si nascondono nelle parole – la ferma volontà di usare “tutti i mezzi legali” per realizzare gli obiettivi. È il loro mondo, infatti, a “fare “le leggi, ossia a determinare ciò che è e diventa legale. E il suo contrario, ovviamente, in cui – temiamo- rientrino i dissidenti. Non mancano, nella pagina iniziale del sito, una foto con un cuoricino arcobaleno, immagini tratte da raduni LGBT, oltre a una sezione dedicata a “Equità e Inclusione”. L’intero armamentario del progressismo liberal al potere, i nuovi comandamenti dell’Occidentalismo. Che cosa c’entri tutto questo con l’ecologia – la missione del Sierra Club – e più ancora l’edizione di un dizionario chiamato (non tanto innocentemente) “Guida al Linguaggio dell’Uguaglianza “non è dato sapere. Contano i fatti, ossia la tenaglia del Grande Reset: riconfigurazione mentale e linguistica, enfatizzazione climatica “green” secondo le interessate parole d’ordine degli illuminati globalisti, distruzione delle identità personali, sessuali e intime per rimodellarle in senso fluido. La transumana futura umanità diretta, dominata dall’alto in nome dell’equità, dell’inclusione, perfino della giustizia sociale. Il mago Houdini non avrebbe saputo fare di meglio; il trucco c’è, ma lo vede solo chi distoglie lo sguardo.
L’introduzione alla Guida è illuminante, un vero e proprio sommario delle parole del nemico, melliflue, seducenti, vaghe o vuote di significato quanto basta per essere accettate senza battere ciglio da un’opinione pubblica narcotizzata. “Una delle migliori maniere che abbiamo per dimostrare il nostro impegno per l’uguaglianza, la giustizia e l’inclusione è usare un linguaggio rispettoso e scrupoloso in tutte le nostre comunicazioni, e non essere partecipi dell’alienazione e disumanizzazione delle persone e stabilire un impegno con la giustizia sociale e razziale”. Il salmo finisce in gloria, come tutti gli altri.
La quantità di “parole del nemico”, usate in maniera impropria o capovolte nel significato, è impressionante. Le sovrastrutture dell’occidentalismo picchiano duro, appropriandosi del linguaggio (e delle categorie interpretative) altrui. Chi disumanizza invoca umanità, chi produce alienazione asserisce di combatterla, chi ha soffocato i diritti sociali si erge a campione della giustizia distributiva. L’uguaglianza di cui parlano fa a pugni con la privatizzazione di tutto e l’aumento impressionante delle distanze di reddito e opportunità tra il vertice della piramide e una base sempre più affollata per il trascinamento in basso della classe media. L’inclusione è diventata uno dei mantra del linguaggio capovolto: escludono nei fatti attraverso l’impoverimento di massa, offrono in cambio parole e cause “arcobaleno” a cui la maggioranza è estranea, slogan evanescenti come bolle di sapone, capaci di incantare una platea espropriata dei criteri di giudizio.
Quanto al linguaggio rispettoso e scrupoloso, sfondano porte aperte se si riferiscono alla correttezza, alla libertà di parola e pensiero, alla pacatezza di toni. Mentono spudoratamente quando attribuiscono a se stessi il ruolo di accusatori e di giudici delle idee che non gradiscono, rubricate come “discorso di odio”, “esclusione”, “discriminazione”, espulse, trasformate in divieti, interdetti morali sostenuti dalla nuova “legalità” che perseguono.
Siamo stretti in una morsa formata dal vangelo apocrifo climatista (di cui il ricco Sierra Club è banditore); dalla decostruzione di ogni identità sessuale, personale, comunitaria, in nome dell’homo novus fluido e sradicato (perfino da se stesso); dalla neo religione sanitaria; dalla digitalizzazione, ossia la derubricazione dell’essere umano a cosa, un codice a barre sorvegliato passo passo, bisognoso di autorizzazione – per via informatico-burocratica – per ogni atto della vita. Ovvio che esista la necessità, per il potere, di espropriarci innanzitutto dei criteri di giudizio, espressi con le parole della lingua, materna perché appresa dalle labbra di chi ci ha generato. Dall’ esito della guerra delle parole dipende la nostra capacità di comprendere e contrattaccare. Il fatto che i nuovi vocabolari – ovvero le raccolte “ufficiali” di lemmi, parole, significati – siano pubblicati – vorremmo dire diramati – da soggetti espressione del potere – come il Sierra Club e le università americane – in mano all’oligarchia – dimostra la natura “ufficiale”, impositiva del sistema neolinguistico di significati e significanti.
Viviamo dentro varie distopie a cerchi concentrici, il cui nucleo è la volontà di una cupola nemica di potentissimi misantropi sociopatici. Alcune scelte linguistiche superano il grottesco, a comprova della natura malata dell’operazione. Nessun delirio, tuttavia, se non quello di onnipotenza dei nuovi alchimisti. Un esempio sconcertante: nell’università del Sud California, non si può più usare la parola field (campo). I professoroni di servizio ritengono che abbia connotazioni “razziste e anti popolazioni di colore.” Hanno già individuato, come al Ministero della Verità di Orwell, il termine sostitutivo, practicum, tirocinio, corso o lavoro pratico. Distanza dalla realtà, formattazione del cervello, ingegneria sociale, coscienza infelice, tutto in un’unica parola.
Nella seconda parte, rifletteremo su questo, sul vocabolario del Sierra Club e sull’imponente lavoro di decostruzione e riformattazione mentale psicolinguistica dell’Università di Stanford.