Il vertice NATO di luglio a Vilnius aveva l’aria di un funerale, come se fosse appena defunto un membro della famiglia: l’Ucraina. Per cancellare il fallimento della NATO nel cacciare la Russia dall’Ucraina e nel portare l’Alleanza fino ai confini della Russia, i suoi membri hanno cercato di risollevare gli animi cercando sostegno per la prossima grande battaglia: quella contro la Cina, ora designata come nemico strategico finale. Per prepararsi a questa prova di forza, la NATO ha annunciato l’impegno ad estendere la propria presenza militare fino al Pacifico.
Il piano prevede di eliminare gli alleati militari e i partner commerciali della Cina, soprattutto la Russia, iniziando con la guerra in Ucraina. Il Presidente Biden ha dichiarato che questa guerra sarà di portata globale e durerà molti decenni, perché, alla fine,si espanderà per isolare e spezzare la Cina.
Le sanzioni imposte dagli Stati Uniti contro il commercio con la Russia sono una prova generale per imporre sanzioni simili contro la Cina. Ma solo gli alleati della NATO si sono uniti alla lotta. Invece di distruggere l’economia russa e “ridurre il rublo in macerie”, come aveva previsto il Presidente Biden, le sanzioni della NATO hanno reso la Russia più autonoma, incrementato la sua bilancia dei pagamenti e le sue riserve monetarie internazionali, e quindi il tasso di cambio del rublo.
Come se non bastasse, nonostante l’insuccesso delle sanzioni commerciali e finanziarie contro la Russia – e nonostante i fallimenti della NATO in Afghanistan e in Libia – i Paesi della NATO si sono impegnati a provare le stesse tattiche contro la Cina. L’economia mondiale sarà divisa tra Stati Uniti/NATO/Five Eyes contro il resto del mondo – la Maggioranza Globale. Il commissario europeo Joseph Borrell definisce questa situazione come una spaccatura tra il giardino statunitense/europeo (il miliardo d’oro) e la giungla che minaccia di inghiottirlo, come un’invasione dei suoi prati ben curati da parte di una specie invasiva.
Da un punto di vista economico, il comportamento della NATO dopo il suo rafforzamento militare per attaccare gli Stati orientali russofoni dell’Ucraina nel febbraio 2022 è stato un drastico fallimento. Il piano degli Stati Uniti era quello di dissanguare la Russia e lasciarla così economicamente a pezzi che la sua popolazione si sarebbe ribellata, avrebbe cacciato Vladimir Putin dal suo incarico e avrebbe ripristinato un leader neoliberale filo-occidentale che avrebbe fatto allontanare la Russia dalla sua alleanza con la Cina – per poi procedere con il grande piano americano di mobilitare l’Europa per imporre sanzioni alla Cina.
Ciò che rende così difficile cercare di valutare dove stanno andando la NATO, l’Europa e gli Stati Uniti è che l’assunto tradizionale secondo cui le nazioni e le classi agiscono nel loro interesse economico in questo caso non è di aiuto. La logica tradizionale dell’analisi geopolitica prevede che gli interessi economici e finanziari guidino la politica di quasi tutte le nazioni. L’ipotesi accessoria è che i funzionari di governo abbiano una comprensione abbastanza realistica delle dinamiche economiche e politiche in gioco. La previsione del futuro è quindi di solito un esercizio di definizione di queste dinamiche.
L’Occidente USA/NATO ha guidato questa frattura globale, eppure sarà il grande sconfitto. I membri della NATO hanno già visto l’Ucraina esaurire la propria dotazione di fucili e proiettili, artiglieria e munizioni, carri armati, elicotteri e altre armi accumulate in cinquant’anni. Ma la perdita dell’Europa è diventata un’opportunità commerciale per l’America, perché la necessità di rifornire l’Europa ha creato un nuovo vasto mercato per il complesso militare-industriale americano. Per ottenere sostegno, gli Stati Uniti hanno sponsorizzato un nuovo modo di pensare al commercio e agli investimenti internazionali. L’attenzione si è spostata sulla “sicurezza nazionale”, che significa garantire un ordine unipolare incentrato sugli Stati Uniti.
Il mondo si sta dividendo in due blocchi: Stati Uniti/NATO post-industriali e Maggioranza Globale
I diplomatici statunitensi erano sempre più preoccupati quando la Germania e altri Paesi europei avevano cominciato a dipendere dalle importazioni di gas, petrolio e fertilizzanti russi come base per l’acciaio, la produzione di vetro e altre industrie. Si erano preoccupati ancora di più quando la Cina era diventata l’”officina del mondo”, mentre l’economia statunitense si era deindustrializzata. Il timore era che la crescita della Cina e dei Paesi eurasiatici vicini, che beneficiano dell’espansione della Belt and Road, minacciasse di fare di quella parte del mondo la principale area di crescita, e quindi una calamita per gli investimenti europei. La prospettiva logica era che la politica avrebbe seguito gli interessi economici a scapito della capacità dell’America di mantenere un’economia mondiale unipolare, con il dollaro come centro finanziario e il commercio soggetto all’unilateralismo protezionistico statunitense.
Unendosi alla crociata americana per distruggere l’economia russa e promuovere un cambio di regime, il rifiuto della Germania e di altri Paesi europei di commerciare con la Russia ha distrutto le basi energetiche della loro industria. La distruzione del gasdotto Nord Stream ha fatto sprofondare l’economia tedesca e quella di altri Paesi europei in una depressione che ha comportato fallimenti e disoccupazione. Al posto del gas russo, i Paesi della NATO devono ora pagare un prezzo fino a sei volte superiore per il gas naturale liquefatto (LNG) statunitense, oltre a dover costruire nuove strutture portuali per importare fisicamente questo gas.
I leader europei, negli ultimi settant’anni sponsorizzati e finanziati dall’ingerenza elettorale statunitense, hanno fatto quello che Boris Eltsin aveva fatto in Russia negli anni Novanta: hanno accettato di sacrificare le economie industriali europee e di porre fine a quella che era stata una proficua integrazione commerciale e di investimenti con la Russia e la Cina.
Il passo successivo è che l’Europa e gli Stati Uniti smettano di commerciare e di investire con la Cina, nonostante il fatto che questi Paesi della NATO abbiano beneficiato della fioritura di questo commercio, facendovi affidamento per una vasta gamma di beni di consumo e input industriali. Questa prospera linea di commercio sta per essere interrotta. I leader della NATO hanno annunciato che l’importazione di gas e altre materie prime russe (tra cui l’elio e molti metalli) corre il “rischio” di renderli dipendenti – come se fosse nell’interesse economico o politico di Russia e Cina l’interruzione di questo commercio semplicemente per danneggiare l’Europa e farle quello che gli Stati Uniti hanno fatto per costringerla alla sottomissione.
Ma sottomissione a cosa? La risposta è: sottomissione alla logica del guadagno reciproco, che lascia indietro l’economia statunitense!
Cercando di impedire ad altri Paesi di seguire questa logica, la diplomazia statunitense ed europea della NATO ha prodotto esattamente quello che i suprematisti statunitensi temevano di più. Invece di paralizzare l’economia russa per creare una crisi politica e forse la disgregazione della Russia stessa per isolarla dalla Cina, le sanzioni USA/NATO hanno portato la Russia a riorientare il suo commercio lontano dai Paesi della NATO, integrando ancora di più la sua economia e la sua diplomazia con la Cina e gli altri membri dei BRICS.
Ironia della sorte, la politica degli Stati Uniti e della NATO sta costringendo la Russia, la Cina e i loro alleati BRICS ad andare per la loro strada, iniziando da un’Eurasia unita. Questo nuovo nucleo di Cina, Russia ed Eurasia con il Sud globale sta creando una sfera commerciale e di investimento multipolare reciprocamente vantaggiosa.
L’industria europea, al contrario, è stata devastata. Le sue economie sono diventate completamente e abiettamente dipendenti dagli Stati Uniti, ad un costo molto più alto rispetto a quello dei suoi precedenti partner commerciali. Gli esportatori europei hanno perso il mercato russo e ora seguono le richieste statunitensi di abbandonare e rifiutare il mercato cinese. A tempo debito, saranno rifiutati anche i mercati dei BRICS, che arriveranno ad includere Paesi del Vicino Oriente, dell’Africa e dell’America Latina.
Invece di isolare Russia e Cina e renderle dipendenti dal controllo economico statunitense, la diplomazia unipolare degli Stati Uniti ha isolato se stessa e i suoi satelliti della NATO dal resto del mondo – la Maggioranza Globale, che sta crescendo mentre le economie della NATO stanno correndo lungo la strada della deindustrializzazione. La cosa notevole è che, mentre la NATO avverte il “rischio” del commercio con la Russia e la Cina, non considera un rischio la sua perdita di vitalità industriale e di sovranità economica a favore degli Stati Uniti.
Questo non è ciò che l’”interpretazione economica della storia” avrebbe previsto. Ci si aspetterebbe che i governi sostengano i principali interessi commerciali della loro economia. Ci si torna quindi a chiedere se saranno i fattori economici a determinare gli aspetti del commercio mondiale, degli investimenti e della diplomazia. È davvero possibile nella NATO creare un insieme di economie post-economiche i cui membri assomiglieranno molto agli Stati baltici in rapido spopolamento e deindustrializzazione e all’Ucraina post-sovietica?
Sarebbe davvero uno strano tipo di “sicurezza nazionale”. In termini economici, sembra che la strategia di autoisolamento degli Stati Uniti e dell’Europa dal resto del mondo sia un errore talmente grande e di così vasta portata che i suoi effetti saranno l’equivalente di una guerra mondiale.
Gli attuali combattimenti contro la Russia sul fronte ucraino possono essere considerati come la campagna di apertura della Terza Guerra Mondiale. Per molti versi si tratta di un’evoluzione della Seconda guerra mondiale e delle sue conseguenze, che aveva visto gli Stati Uniti creare organizzazioni economiche e politiche internazionali che operassero nel proprio interesse nazionale. Il Fondo Monetario Internazionale ha imposto il controllo finanziario degli Stati Uniti e ha contribuito a dollarizzare l’economia mondiale. La Banca Mondiale presta dollari ai governi per costruire infrastrutture per l’esportazione, per sovvenzionare gli investitori USA/NATO che controllano il petrolio, le miniere e le risorse naturali, e per promuovere la dipendenza commerciale dalle esportazioni agricole statunitensi, favorendo l’agricoltura di piantagione, invece della produzione interna di cereali alimentari. Gli Stati Uniti insistono per avere potere di veto in tutte le organizzazioni internazionali a cui aderiscono, comprese le Nazioni Unite e le loro agenzie.
La stessa creazione della NATO viene spesso fraintesa. In apparenza, si presentava come un’alleanza militare, originariamente per difendersi dal fatto che l’Unione Sovietica potesse avere qualche motivo per conquistare l’Europa occidentale. Ma il ruolo più importante della NATO è stato quello di usare la “sicurezza nazionale” come scusa per scavalcare la politica interna ed estera europea e subordinarla al controllo degli Stati Uniti. La dipendenza dalla NATO era stata inserita nella costituzione dell’Unione Europea. Il suo obiettivo era quello di assicurarsi che i leader dei partiti europei seguissero le indicazioni degli Stati Uniti e si opponessero alle politiche di sinistra o antiamericane, a quelle a favore dei lavoratori e a governi abbastanza forti da impedire il controllo [dei loro Paesi] da parte di un’oligarchia finanziaria cliente degli Stati Uniti.
Il programma economico della NATO è stato quello di aderire alla finanziarizzazione neoliberale, alla privatizzazione, alla deregolamentazione governativa e all’imposizione dell’austerità al lavoro. I regolamenti dell’UE impediscono ai governi di avere un deficit di bilancio superiore al 3% del PIL. Questo blocca le politiche di tipo keynesiano per stimolare la ripresa. Oggi, l’aumento dei costi degli armamenti militari e i sussidi governativi ai prezzi dell’energia costringono i governi europei a tagliare la spesa sociale. La politica bancaria, la politica commerciale e la legislazione nazionale seguono lo stesso modello neoliberista statunitense che ha deindustrializzato l’economia americana e l’ha caricata di debiti verso il settore finanziario, nelle cui mani si concentra oggi la maggior parte della ricchezza e del reddito.
Abbandonare i propri interessi economici per la dipendenza dalla “sicurezza nazionale” degli Stati Uniti
Il mondo post-Vilnius considera il commercio e le relazioni internazionali non come un fatto economico, ma come “sicurezza nazionale”. Qualsiasi forma di commercio comporta il “rischio” di essere tagliati fuori e destabilizzati. L’obiettivo non è quello di ottenere guadagni commerciali e di investimento, ma di diventare autonomi e indipendenti. Per l’Occidente, questo significa isolare la Cina, la Russia e i BRICS per dipendere completamente dagli Stati Uniti. Per gli Stati Uniti, quindi, la propria sicurezza significa rendere gli altri Paesi dipendenti da loro stessi, in modo che i diplomatici statunitensi non perdano il controllo della loro diplomazia militare e politica.
Trattare il commercio e gli investimenti con Paesi diversi dagli Stati Uniti come se comportassero un “rischio”, ipso facto, è una proiezione del modo in cui la diplomazia statunitense ha imposto sanzioni ai Paesi che si oppongono alla dominazione statunitense, alla privatizzazione e alla subordinazione delle loro economie al controllo statunitense. Il timore che il commercio con Russia e Cina porti alla dipendenza politica è una fantasia. L’obiettivo dell’emergente alleanza eurasiatica, dei BRICS e del Sud globale è quello di trarre vantaggio dal commercio estero reciproco, con governi sufficientemente forti da trattare il denaro e le banche come servizi di pubblica utilità, insieme ai monopoli di base necessari per garantire i normali diritti umani, tra cui l’assistenza sanitaria e l’istruzione, mantenendo settori come i trasporti e le comunicazioni nel dominio pubblico per mantenere bassi i costi della vita e del commercio, invece di applicare prezzi di monopolio.
L’odio anticinese arriva soprattutto da Annalena Baerbock, ministro degli Esteri tedesco. La NATO è stata avvertita di “de-rischiare” il commercio con la Cina. I “rischi” [secondo la Baerbock] sono che (1) la Cina potrebbe tagliare le esportazioni chiave, proprio come gli Stati Uniti hanno tagliato l’accesso europeo alle esportazioni di petrolio russo; e (2) le esportazioni potrebbero potenzialmente essere utilizzate per sostenere il potere militare della Cina. Quasi tutte le esportazioni economiche POTREBBERO essere militari, persino il cibo per sfamare l’esercito cinese.
Nel suo viaggio in Cina, il Segretario del Tesoro, Janet Yellen, ha spiegato che tutti gli scambi commerciali hanno un potenziale militare e quindi un elemento di sicurezza nazionale. Tutti gli scambi commerciali hanno un potenziale militare, persino la vendita di cibo alla Cina potrebbe essere utilizzata per nutrire i soldati.
La richiesta degli Stati Uniti e della NATO è che la Germania e gli altri Paesi europei impongano una cortina di ferro al commercio con la Cina, la Russia e i loro alleati, al fine di “de-rischiare” il commercio. Eppure solo gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni commerciali ad altri Paesi, non la Cina e gli altri Paesi del Sud globale. Il rischio reale non è che la Cina possa imporre sanzioni commerciali per danneggiare le economie europee, ma che gli Stati Uniti impongano sanzioni ai Paesi che infrangono il boicottaggio commerciale sponsorizzato dagli USA.
Questa visione del “commercio come rischio” tratta il commercio estero non in termini economici, ma in termini di “sicurezza nazionale”. In pratica, “sicurezza nazionale” significa unirsi al tentativo degli Stati Uniti di mantenere il controllo unipolare dell’intera economia mondiale. Non si riconosce alcun rischio per il riorientamento del commercio europeo di gas ed energia verso le compagnie statunitensi. Il rischio sarebbe quello di commerciare con Paesi che i diplomatici statunitensi considerano “autocrazie”, vale a dire nazioni con investimenti governativi nelle infrastrutture e con una regolamentazione al posto del neoliberismo di stampo statunitense.
Il mondo si sta dividendo in due blocchi, con filosofie economiche molto diverse
Solo gli Stati Uniti hanno imposto sanzioni commerciali ad altri Paesi. E solo gli Stati Uniti hanno rifiutato le regole del libero scambio internazionale in quanto minacce alla sicurezza nazionale e al controllo economico e militare da parte degli Stati Uniti. A prima vista, la conseguente frattura globale tra Stati Uniti/NATO da un lato e l’alleanza in espansione dei BRICS, composta da Russia, Cina, Iran e dal Sud globale, potrebbe sembrare un conflitto tra capitalismo e socialismo (ovvero, socialismo di Stato in un’economia mista con una regolamentazione pubblica che fa gli interessi della forza lavoro).
Ma questa contrapposizione tra capitalismo e socialismo non ci aiuta ad un esame più attento. Il problema sta nel significato che la parola “capitalismo” ha assunto nel mondo di oggi. Nel XIX e all’inizio del XX secolo si pensava che il capitalismo industriale si sarebbe evoluto verso il socialismo. Gli Stati Uniti e altre economie industriali avevano accolto con favore e avevano anche fatto pressioni affinché i loro governi sovvenzionassero una gamma sempre più ampia di servizi di base a spese pubbliche, invece di obbligare i datori di lavoro a sostenere i costi dell’assunzione di manodopera che doveva pagare di tasca propria per i bisogni primari, come l’assistenza sanitaria e l’istruzione. I prezzi da monopolio erano stati evitati mantenendo i monopoli naturali come le ferrovie e i trasporti, i sistemi telefonici e le comunicazioni, i parchi e altro come servizi di pubblica utilità. Il fatto che i governi, anziché le imprese e i loro dipendenti, pagassero per questi servizi aveva aumentato la competitività globale dell’industria nazionale nelle economie miste che ne erano derivate.
La Cina ha seguito questo approccio di base del capitalismo industriale, con una politica socialista volta ad elevare la forza lavoro, non solo la ricchezza dei capitalisti industriali – tanto meno dei banchieri, dei proprietari terrieri assenteisti e dei monopolisti. Soprattutto, ha industrializzato il settore bancario, creando credito per finanziare investimenti tangibili nei mezzi di produzione, non il tipo di credito predatorio e improduttivo che caratterizza l’attuale capitalismo finanziario.
Ma la politica di economia mista del capitalismo industriale non è il modo in cui il capitalismo si è evoluto in Occidente dopo la Prima Guerra Mondiale. Rifiutando l’economia politica classica e la sua spinta a liberare i mercati dalle classi di estrattori di rendite ereditate dal feudalesimo – proprietari terrieri, banchieri e monopolisti – il settore rentier ha reagito per riaffermare la privatizzazione della rendita fondiaria, degli interessi e dei guadagni di monopolio. Ha cercato di invertire la tassazione progressiva e di favorire fiscalmente la ricchezza finanziaria, i proprietari terrieri e i monopolisti. Il settore finanziario, assicurativo e immobiliare (FIRE) è diventato l’interesse dominante e il pianificatore economico dell’attuale capitalismo finanziario. Per questo motivo le economie sono spesso chiamate neofeudali (o eufemizzate come neoliberali).
Nel corso della storia, le dinamiche della finanziarizzazione hanno polarizzato la ricchezza e il reddito tra creditori e debitori, dando vita alle oligarchie. Quando il debito fruttifero cresce in modo esponenziale, sempre più reddito del lavoro e delle imprese deve essere pagato come servizio del debito. Questa dinamica finanziaria restringe il mercato interno dei beni e dei servizi e l’economia soffre di un’austerità sempre più pesantemente condizionata dal debito.
Il risultato è la deindustrializzazione, mentre le economie si polarizzano tra creditori e debitori. Ciò si è verificato soprattutto in Gran Bretagna, sulla scia di Margaret Thatcher e del Nuovo Partito Laburista di Tony Blair e Gordon Brown, che ha adottato un approccio deregolamentare “leggero” nei confronti delle manipolazioni finanziarie e delle vere e proprie frodi.
Gli Stati Uniti hanno subito uno spostamento altrettanto devastante di ricchezza e reddito verso i settori della finanza, delle assicurazioni e dell’immobiliare (FIRE) sulla scia dei tagli fiscali di Ronald Reagan a favore dei ricchi, della deregolamentazione antigovernativa e dell’acquisizione della “Terza Via” da parte di Wall Street da parte di Bill Clinton. La “Terza Via” non era né capitalismo industriale né socialismo, ma capitalismo finanziario che traeva i suoi guadagni spogliando e indebitando l’industria e il lavoro. La nuova ideologia del Partito Democratico della finanza deregolamentata ha trovato il suo culmine nel massiccio crollo delle frodi bancarie del 2008 e nella protezione da parte di Barack Obama dei prestatori di mutui spazzatura e dei pignoramenti all’ingrosso delle loro vittime finanziarie. La pianificazione e la politica economica sono state trasferite dai governi a Wall Street e ad altri centri finanziari, che hanno preso il controllo del governo, della banca centrale e delle agenzie di regolamentazione.
I diplomatici statunitensi e britannici stanno cercando di promuovere nel resto del mondo questa filosofia economica predatoria pro-finanziaria e intrinsecamente anti-industriale. Ma questo evangelismo ideologico è minacciato dall’ovvio contrasto tra le economie fallite e deindustrializzate degli Stati Uniti e della Gran Bretagna e la notevole crescita economica della Cina sotto il socialismo industriale.
Questo contrasto tra il successo economico della Cina e il “giardino” dell’Occidente della NATO, caratterizzato dall’austerità e dal debito, è l’essenza dell’odierna campagna dell’Occidente contro i Paesi della “Giungla” che cercano l’indipendenza politica dalla diplomazia statunitense per elevare il proprio tenore di vita. Questa guerra globale ideologica e intrinsecamente politica è la controparte odierna delle guerre di religione che avevano lacerato i Paesi europei per molti secoli.
Stiamo assistendo a quello che sembra essere un inesorabile declino dell’Occidente. I diplomatici statunitensi sono riusciti a rafforzare la loro leadership di controllo economico, politico e militare sugli alleati europei della NATO. Il loro facile successo in questo obiettivo li ha portati ad immaginare che, in qualche modo, possano conquistare il resto del mondo, nonostante la deindustrializzazione e l’indebitamento delle loro economie, tanto che non esiste un modo prevedibile di pagare il loro debito ufficiale con i Paesi stranieri, e comunque non hanno molto da offrire.
L’imperialismo tradizionale della conquista militare e della conquista finanziaria è finito
Le tattiche adottate da una nazione leader per creare un impero sono sempre state numerose. Il modo più antico è la conquista militare. Ma non si può occupare e conquistare un Paese senza un esercito, e gli Stati Uniti non hanno un esercito abbastanza grande. La guerra del Vietnam aveva messo fine alla leva. Quindi devono affidarsi ad eserciti stranieri come Al Qaeda, l’ISIS e, più recentemente, l’Ucraina e la Polonia, così come si affidano a manifatture industriali straniere. I suoi armamenti sono esauriti e non possono mobilitare un esercito nazionale per occupare qualche Paese. Gli Stati Uniti hanno solo un’arma: missili e bombe possono distruggere, ma non possono occupare e conquistare un Paese.
Il secondo modo per creare un potere imperiale è stato quello economico, per rendere gli altri Paesi dipendenti dalle esportazioni statunitensi. Dopo la Seconda Guerra Mondiale, il resto del mondo era devastato ed era stato costretto ad accettare le manovre diplomatiche statunitensi, volte a dare alla loro economia il monopolio dei bisogni primari [degli altri Paesi]. L’agricoltura era diventata un’arma importante per creare dipendenza dall’estero. La Banca Mondiale non aveva sostenuto i Paesi che coltivavano il proprio cibo, ma aveva spinto le colture da esportazione delle piantagioni e combattuto le riforme agrarie. Per quanto riguarda il commercio del petrolio e dell’energia, le compagnie statunitensi e i loro alleati della NATO in Gran Bretagna e Olanda (British Petroleum e Shell) controllavano il commercio mondiale del petrolio. Il controllo del commercio mondiale di petrolio è sempre stato un obiettivo centrale della diplomazia commerciale statunitense.
Questa strategia ha funzionato nel controllo degli Stati Uniti sulla Germania e su altri Paesi della NATO, facendo saltare il gasdotto Nord Stream e impedendo all’Europa occidentale l’accesso al gas, al petrolio, ai fertilizzanti e ai raccolti russi. L’Europa è ora entrata in una depressione industriale e in un’austerità economica, poiché la sua industria siderurgica e gli altri settori di punta vengono ora invitati ad emigrare negli Stati Uniti, insieme alla manodopera qualificata.
Fino ad oggi, la tecnologia elettronica e i chip per computer sono stati un punto focale per stabilire la dipendenza economica globale dalla tecnologia statunitense. Gli Stati Uniti mirano a monopolizzare la “proprietà intellettuale” (e ad estrarre la rendita economica facendo pagare prezzi elevati) per i chip per computer ad alta tecnologia, le comunicazioni e la produzione di armi.
Ma gli Stati Uniti si sono deindustrializzati e sono diventati dipendenti dai Paesi asiatici e da altri Paesi per i loro prodotti, invece di renderle loro dipendenti dagli Stati Uniti. Questa dipendenza commerciale è ciò che fa sentire i diplomatici statunitensi “insicuri”, preoccupati che altri Paesi possano cercare di utilizzare la stessa diplomazia commerciale e finanziaria coercitiva che gli Stati Uniti hanno esercitato dal 1944-45.
Agli Stati Uniti rimane una sola tattica per controllare gli altri Paesi: le sanzioni commerciali, imposte da loro e dai loro satelliti NATO nel tentativo di distruggere le economie che non accettano il loro unipolare dominio economico, politico e militare. Hanno convinto i Paesi Bassi a bloccare l’invio di sofisticati macchinari per l’incisione di chip alla Cina e altri Paesi a bloccare tutto ciò che potrebbe contribuire allo sviluppo economico della Cina. Un nuovo protezionismo industriale americano è stato concepito per motivi di sicurezza nazionale.
Se la politica commerciale cinese dovesse rispecchiare quella della diplomazia statunitense, la Cina smetterebbe di rifornire i Paesi della NATO con le esportazioni di minerali e metalli necessari per produrre chip per computer e tutto ciò di cui l’economia americana ha bisogno per esercitare la sua diplomazia globale.
Gli Stati Uniti sono così pesantemente indebitati, i prezzi delle case sono così alti e il costo dell’assistenza medica è così elevato (18% del PIL) che non possono competere. Non possono reindustrializzarsi senza adottare misure radicali per ridurre il debito, de-privatizzare l’assistenza sanitaria e l’istruzione, smantellare i monopoli e ripristinare la tassazione progressiva. Gli interessi consolidati del settore finanziario, assicurativo e immobiliare (FIRE) sono troppo potenti per consentire queste riforme.
Ciò rende l’economia statunitense un’economia fallita e l’America uno Stato fallito.
Dopo la Seconda Guerra Mondiale, nel 1950, gli Stati Uniti detenevano il 75% dell’oro monetario mondiale. Questo aveva permesso di imporre la dollarizzazione al mondo. Ma oggi nessuno sa se il Tesoro americano e la Federal Reserve di New York abbiano dell’oro che non sia stato dato in pegno ad acquirenti privati e speculatori. Il timore è che abbiano venduto anche le riserve auree delle banche centrali europee. La Germania aveva chiesto il rimpatrio da New York delle sue riserve d’oro, ma gli Stati Uniti avevano risposto che non erano disponibili e la Germania era stata troppo timida per rendere pubbliche le sue preoccupazioni e le sue lamentele.
Il dilemma finanziario dell’America è ancora più grave se si cerca di immaginare come potrà mai pagare il debito estero dei Paesi che volessero ritirare i loro dollari. Gli Stati Uniti possono solo stampare la propria moneta. Non sono disposti a vendere i propri beni nazionali, come chiedono agli altri Paesi debitori.
Cosa potrebbero accettare gli altri Paesi al posto dell’oro? Una forma di attività che può essere presa come garanzia sono gli investimenti statunitensi in Europa e in altri paesi. Ma se altri governi stranieri cercassero di farlo, i funzionari statunitensi potrebbero reagire sequestrando i loro investimenti negli Stati Uniti. Si verificherebbe un accaparramento reciproco.
Gli Stati Uniti stanno cercando di monopolizzare la tecnologia elettronica. Il problema è che ciò richiede input di materie prime la cui produzione è attualmente dominata dalla Cina, soprattutto i metalli delle terre rare (che sono abbondanti ma distruttivi per l’ambiente da raffinare), il gallio, il nichel (la Cina domina la raffinazione), l’elio russo e altri gas utilizzati per l’incisione dei chip dei computer. La Cina ha recentemente annunciato che il 1° agosto inizierà a limitare queste esportazioni chiave. La Cina ha effettivamente la capacità di tagliare le forniture di materiali e tecnologie vitali all’Occidente, per proteggersi dalle sanzioni di “sicurezza nazionale” dell’Occidente contro di lei. Questa è la profezia che si autoavvera e che gli Stati Uniti hanno creato con la minaccia di una guerraa commerciale.
Se la diplomazia statunitense costringerà gli alleati del giardino della NATO a boicottare la tecnologia cinese Huawei, l’Europa si ritroverà con un’alternativa meno efficiente e più costosa, le cui conseguenze contribuiranno a separarla dalla Cina, dai BRICS e da quella che è diventata la Maggioranza Mondiale in un allineamento autonomo molto più ampio di quello creato da Sukarno nel 1954.