n un paesino montuoso dell’Irpinia, una giovane donna vive un’esistenza riservata. Le fanno compagnia un gatto e alcuni parenti, ma il grosso delle sue giornate si snoda attraverso il lavoro ripetitivo in una fabbrica per la concia delle pelli. Un giorno, vedendo in aria il drone utilizzato per le riprese durante una festa di comunione, le viene un’idea che possa metterla in contatto telefonico con una presenza inaccessibile. È l’inizio di un rapporto sempre più assiduo, su cui entrambe le parti proiettano ciò che desiderano.
Per la seconda volta strappati alla loro attività di documentaristi dopo Il cratere del 2017, Silvia Luzi e Luca Bellino nel frattempo non hanno mai smesso di raccontare il reale; con Luce però cercano un altro modo di integrarlo alla finzione, stavolta con un film unicamente intimista e ancorato alla presenza di Marianna Fontana.
Ne esce un ritratto a un centimetro dall’anima, che non perde mai di vista il personaggio di una giovane donna alle prese con una ribellione silenziosa all’ambiente che la circonda. C’è ancora, come ne Il cratere, un rapporto genitoriale e un interesse profondo per la relazione tra l’individuo e la sua responsabilità, spesso in chiave lavorativa. Un’imposizione sociale che Luzi e Bellino indagano nelle molte sequenze ambientate in fabbrica, mentre le pelli scorrono sul nastro e bisogna chiamare la pausa per il bagno.
Perfino il sodalizio tra colleghi sembra inquinato dalle polveri che faticosamente si spazzano via a fine turno, e anche nei momenti di apertura il confronto con le donne più anziane produce sempre un effetto limitante, ben catturato nelle sfumature antropologiche che per questi due registi sono il pane quotidiano.
Una metà di film su cui se ne innesta un’altra, stavolta più sperimentale e ambiziosa: una corrispondenza tutta telefonica in cui lo spettatore si abbandona allo scorrere esclusivo della voce e dello scarto tra ciò che si dice e ciò che si vede. Qualche anno fa Locke lo rese istantaneamente un genere a sé stante, Non riattaccare ha provato a fornirne una versione italiana, mentre già Phone Booth aveva esplorato con gusto il rapporto solo parlato (per non dire di Magnani e Rossellini in un episodio de L’amore).